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“Con la destra al governo le patrimoniali non vedranno mai la luce”. Più che un commento, quello di Giorgia Meloni su X è l’epitaffio della patrimoniale. E non ci si aspettava niente di diverso. Perché questa tassa aleggia su ogni discussione intorno alla legge di bilancio, senza prendere mai forma. Figuriamoci con questa maggioranza di destra.
La proposta della Cgil
Maurizio Landini l’ha spiegata così la proposta della Cgil: “un contributo di solidarietà dell’1,3% chiesto ai 500 mila italiani che posseggono un patrimonio netto dai due milioni di euro in su”. Perché, citiamo sempre Landini, “il sindacato fa il suo mestiere che è quello di rappresentare e tutelare lavoratori e pensionati, avanza proposte precise, nel merito, mentre il governo la butta in politica”, in caciara, si direbbe a Roma. La Cgil indice lo sciopero generale? Il governo risponde che “vogliono farsi il week end lungo”. La Cgil propone la patrimoniale? Il governo risponde che “il sindacato fa politica e vuole sostituirsi ai partiti”. Facciamo chiarezza. Stiamo sul merito, con buona pace della Meloni.
Che cos’è la patrimoniale?
Secondo la Treccani, le imposte patrimoniali sono “tributi che possono essere ordinari o straordinari e che vengono applicati al patrimonio di persone fisiche o giuridiche”. Quello che è importante sottolineare è che la cosiddetta patrimoniale si calcola sul “patrimonio netto”, tutto ciò che una persona possiede, dai contanti depositati in banca agli immobili, agli investimenti, al netto (appunto) dei debiti. Si calcola sul patrimonio, non sul reddito. Non a caso la patrimoniale è anche detta “tassa sulla ricchezza” o, in Francia, “contributo di solidarietà”.
La motivazione politica per la quale di solito viene proposta è quella di attuare una redistribuzione della ricchezza, tentando così di ridurre le enormi disuguaglianze esistenti. Un po’ come quando andavate all’asilo e vi dicevano che se un vostro compagno non avesse avuto la merenda a ricreazione voi avreste dovuto dividere la vostra con lui. Un po’ così, insomma, ma molto, molto meno. Perché, se allora i vostri genitori avessero applicato il principio della patrimoniale, vi avrebbero detto di cedere al vostro compagno senza merenda giusto una briciola. E il vostro panino sarebbe rimasto praticamente intatto.
Sanità, quel piccolo contributo potrebbe salvare vite umane
Un altro esempio? Chi già oggi può pagare qualsiasi cifra per fare immediatamente (quindi privatamente) un esame o una visita specialistica che gli prescrive il medico, continuerà a poterlo fare anche dopo aver versato l’1,3% del proprio patrimonio allo Stato. Sarà ancora ricco, avrà ancora tutti i soldi che gli servono per tenere sotto controllo la propria salute. Ma quel piccolo contributo, investito nella sanità insieme a tutti gli altri 1,3%, permetterà a una fetta rilevante dei cittadini meno abbienti di potersi curare. Per farla breve, quel piccolo contributo potrebbe salvare vite umane, in un Paese in cui sei milioni di cittadini rinunciano alle cure perché non hanno soldi.
E quel piccolo contributo, moltiplicato per il mezzo milione di italiani – su 60 milioni – che sarebbero chiamati a versarlo, farebbe – calcoli della Cgil alla mano – un tesoro inestimabile di 26 miliardi di euro. E dato che la manovra di quest’anno ammonta a circa 18 miliardi di euro, l’applicazione della patrimoniale varrebbe quasi un’altra manovra e mezzo. Pensate quante liste di attesa si accorcerebbero, quante scuole smetterebbero di essere cadenti, quante linee di trasporto pubblico per i pendolari diventerebbero vivibili e rapide. Che c’è di male in questo, ci chiediamo? E giriamo direttamente la domanda a Giorgia Meloni che ha bollato la proposta come irricevibile.
Dove si applica la patrimoniale in Europa?
Per scoprirlo abbiamo controllato le informazioni pubblicate da Tax Foundation. Il primo paese citato è la Norvegia. A Oslo e dintorni il contributo richiesto è dell’1% ai cittadini che possiedono un patrimonio netto superiore a 1,7 milioni di corone, che equivalgono a 146 mila euro. Sì, avete letto bene, parliamo di 14 mila e 600 euro di tassa. Roba che alle nostre latitudini griderebbero alla rapina e si darebbero alla macchia. Ma lasciamo perdere la Norvegia che ormai ci batte pure sui campi di calcio e dove il salario mediano netto, quello che divide la popolazione lavorativa esattamente a metà, è di circa 3.505 euro al mese, secondo dati Eurostat del 2024 (in Italia, secondo gli stessi dati, è esattamente la metà, 1757 euro). Questo tesoro i norvegesi lo redistribuiscono come segue: lo 0,7% ai comuni e lo 0,3% al governo. L’aliquota arriva all’1,1% per chi ha una ricchezza che supera le 20 milioni di corone (quasi un milione e 714 mila euro).
In Spagna la faccenda si complica un po’, perché l’imposta è progressiva, va dallo 0,16% al 3,5%, e si calcola in base al patrimonio e alle regole delle varie comunità autonome. “Nel 2022 – scrive Tax Foundation – il governo centrale spagnolo ha introdotto un’imposta patrimoniale di solidarietà, con un’aliquota compresa tra l’1,7% e il 3,5% per le persone fisiche con un patrimonio netto superiore a 3 milioni di euro. In base a questo nuovo regime fiscale, il governo centrale riscuote eventuali entrate aggiuntive derivanti dall’imposta di solidarietà, una volta detratta l’imposta patrimoniale regionale. Nel dicembre 2023, il governo centrale spagnolo ha prorogato a tempo indeterminato l’applicazione dell’imposta di solidarietà”.
La Svizzera invece ha un’imposta patrimoniale a livello cantonale, che si applica ai beni patrimoniali ovunque si posseggano nel mondo (a eccezione di immobili e organizzazioni situate all’estero), e varia dallo 0,05% allo 0,3% per patrimoni oltre i 3 milioni e 490 mila euro. A dire il vero, non ci sembrano Paesi nei quali si viva male o dai quali i ricchi tendano a fuggire. Tanto per rassicurare la Meloni.
In Italia come è distribuita la ricchezza?
Male, malissimo. In un mondo in cui le diseguaglianze sono esplose, l’Italia non fa eccezione. Pochi numeri, che avrete già sentito. E qui ci tocca saccheggiare il rapporto Oxfam dal titolo “Disuguaglianza”, pubblicato nel gennaio del 2025.
“Il 10% più ricco delle famiglie detiene quasi i tre quinti della ricchezza nazionale (59,7%); il 20% delle famiglie […] è titolare di poco più di un quinto (22,5%) della ricchezza nazionale; la metà più povera delle famiglie italiane detiene appena il 7,4% della ricchezza nazionale. Confrontando le consistenze patrimoniali dei diversi gruppi di famiglie italiane a metà del 2024 si evince che: il 10% più ricco delle famiglie italiane possiede oltre otto volte la ricchezza della metà più povera dei nuclei familiari del nostro Paese; il 5% più ricco delle famiglie italiane, titolare del 47,7% della ricchezza nazionale, possiede quasi il 20% in più dello stock complessivo di ricchezza detenuta dal 90% più povero delle famiglie italiane”.
E le cose non migliorano, peggiorano rapidamente. “Un recente studio di Acciari, Alvaredo e Morelli – continua Oxfam – ha rilevato, in particolare, una drastica riduzione della quota di ricchezza della metà più povera degli italiani nel periodo 1995-2016, passata dal 12% a inizio periodo al 3% nel 2016. Un calo più marcato di quello riscontrato in Paesi come la Spagna, la Francia, la Germania o gli Stati Uniti”.
E mica finisce qui. Nel nostro Paese è sempre più ampio il divario tra l’1% più ricco e il 90% più povero, una tendenza che si consolida dal momento che si sta ampliando anche il divario tra il salario del 10% più ricco e il salario degli altri. In più, si allarga la forbice tra il reddito degli over 65 e quello dei giovani (19-34 anni). La povertà assoluta dilaga, le persone che non arrivano alla fine del mese pur lavorando aumentano, povertà energetica e disagio abitativo sono diventati elementi strutturali della nostra società.
Cgil: Irpef, prima entrata tributaria dello Stato
E metteteci pure che – scrive l’Ufficio Economia Cgil – “l’Irpef rappresenta la prima entrata tributaria dello Stato e oltre l’80% di questa entrata arriva proprio da lavoratori dipendenti e pensionati”. Che ha portato, spiega il sindacato, al meccanismo perverso del fiscal drag, valutato in circa 25 miliardi di euro nel triennio 2022-2024. Soldi versati in tasse in più da lavoratori e pensionati.
Non vi basta, volete le cifre, ve ne diamo una per tutte. Secondo un’elaborazione dei dati compiuta da Banca d’Italia nel 2024, la ricchezza delle famiglie italiane è di circa 10 mila miliardi di euro: di questi, poco meno della metà, 4.600 miliardi di euro, è concentrata nelle mani del 5% più ricco.
La destra è sociale solo in campagna elettorale
Se la Meloni ricordasse gli slogan della destra sociale romana nella quale è cresciuta politicamente negli anni ‘90, quel brodo di coltura che rivendicava ossessivamente lavoro e casa (solo) per gli italiani. Che scriveva sui manifesti “la patria ha bisogno di figli”, chiedendo aiuti per le famiglie. Che sbraitava contro i privilegi della classe dominante. Allora forse la patrimoniale non gli suonerebbe così stramba. La verità è che la destra è sociale giusto in campagna elettorale. E al “brodino di coltura” riscaldato dei suoi slogan, quando è al governo, preferisce l’aragosta. Altro che patrioti, semmai, amici degli amici.



























