All’interno della bozza di legge delega per la riforma del sistema tributario vi sono due temi che, nonostante non impattino sui salari dei lavoratori, secondo la Cgil meritano un approfondimento.

Il primo è l’Imposta regionale sulle attività produttive, Irap. La delega descrive l’obiettivo di un suo “graduale superamento”. L’Irap è un'imposta a base imponibile ampia e aliquota bassa che si applica sul valore della produzione netta, ovvero sulla differenza tra ricavi e costi, escludendo (dal 2015) il costo del lavoro stabile e - in parte - stagionale. Il gettito Irap contribuisce a finanziare il sistema sanitario nazionale e, in particolare, essendo un'imposta regionale, quello del territorio in cui si realizza la produzione. In Italia, quindi, il mondo datoriale contribuisce al finanziare la sanità attraverso questa imposta, che va ad alimentare, su base territoriale, le casse della Regione in cui l’attività è svolta.

Questa modalità consente di far rimanere le risorse nell’area che le ha generate, a prescindere dal luogo in cui l’impresa risiede, è governata o ha la sede legale. In questo senso, per la distribuzione delle risorse tra territori, non sarebbe privo di conseguenze spostare il prelievo, come si ventila, dall’Irap verso Ires/Irpef (al netto delle difficoltà tecniche). L’Irap è dovuta anche dagli enti pubblici, quindi per la sua cancellazione si considerano “sufficienti” i circa 15 miliardi versati dai privati, sui circa 25 miliardi di gettito complessivo (2019).

Fin dalla sua nascita tale imposta è stata malvista da una parte degli imprenditori, benché avesse ridotto il numero degli adempimenti unificando diverse imposte. Alla base della martellante propaganda per l’abolizione dell’Irap vi è anche probabilmente il fatto che essa si è rivelata difficile da eludere ed evadere, avendo, appunto, basi imponibili ampie e poco “mobili” tra le diverse sedi.

Il secondo tema è il provvedimento che ha creato i maggiori turbamenti nella larga maggioranza che appoggia il governo: la revisione degli estimi catastali. Da decenni è noto quanto gli attuali valori siano inadeguati e distorti anche solo per la loro vetustà (risalgono al 1989). Su questi valori si parametrano tutte le imposte legate alla proprietà di immobili. La definizione di valori aggiornati fu prevista nei primi anni ’10 ed era pronta nel 2015 ma rimase “nel cassetto” proprio per la paura che essa faceva, ed evidentemente continua a fare.

Una paura che, tuttavia, si fatica a comprendere fino in fondo. Entrambe le norme, infatti prevedono che la revisione non possa portare ad incrementi di gettito complessivo. Il concetto di parità di gettito può essere inteso come nei singoli comuni - principali beneficiari, attraverso l’Imu, delle imposte sugli immobili - e in questo caso la revisione sposterebbe il prelievo dai proprietari di case in periferia verso quelli che possiedono case in zone di pregio. Oppure la parità di gettito può essere intesa come nazionale, e si sposterebbe il prelievo dagli immobili dei piccoli comuni verso quelli dei centri urbani. La parità potrebbe essere realizzata anche dal singolo soggetto attivo (riscossore) di ogni imposta, con un mix dei due effetti.

Chi si oppone ai nuovi estimi, quindi, preconizza un incremento della pressione fiscale sugli immobili che non ci sarà. Intanto perché la norma prevede sì la pubblicazione dei nuovi valori, ma anche che si continuino ad utilizzare i vecchi almeno fino al 2026. In secondo luogo perché, come detto, il gettito complessivo non è previsto in aumento. Può, peraltro, avere senso definire i nuovi valori e prendersi il giusto tempo per valutare gli effetti della loro messa a terra. Se e quando i nuovi valori diverranno base imponibile, le imposte aumenteranno per chi finora possiede un immobile sottovalutato dal fisco e si ridurranno per chi invece possiede immobili sopravvalutati. E sarà probabile che i primi si lamenteranno ed i secondi taceranno.

La delega prevede anche la ricognizione dei cosiddetti “immobili fantasma”, quegli immobili oggi sconosciuti al fisco ma facilmente individuabili con le attuali tecniche di rilevazione. Almeno su questo, anche le forze che più si oppongono alla revisione degli estimi non hanno ancora trovato motivo di opposizione.

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