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L'intervista

Digitalizzazione, una sfida democratica

Roberta Lisi e Ivana Marrone
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L'innovazione tecnologica porta con sé una rivoluzione. Inclusione e formazione sono le parole chiave per allargare i benefici dei processi di cambiamento. Ne parliamo con Emilio Miceli, segretario nazionale della Cgil

Le risorse stanziate nel Pnrr per connettere il Paese sono “congrue” afferma Emilio Miceli, segretario nazionale della Confederazione di Corso di Italia. Se il punto, allora, non sono le risorse, qual è la scommessa vera che abbiamo di fronte? Secondo il dirigente sindacale è quella della inclusione. Occorre che ogni angolo del territorio sia connesso, che la rete ultraveloce arrivi soprattutto nelle zone “periferiche”, quelle interne, e la scelta di diversi soggetti in concorrenza tra loro a posar cavi non è quella più conveniente. Non è un caso che al momento chi rimane fuori è proprio quella parte di popolazione che abita nelle zone a “fallimento di mercato”. E non è un caso che si chiamino così: il profitto per chi deve portare la rete non è affatto garantito come invece avviene nelle grandi città.

Ma oggi la connessione veloce è equiparabile ad un diritto di cittadinanza. Tanto più che ormai dialogare con la pubblica amministrazione è possibile quasi esclusivamente da remoto. Per accedere al proprio fascicolo sanitario, richiedere un documento anagrafico, utilizzare i servizi dell’Inps o effettuare un pagamento, occorre un pc o uno smartphone, una connessione veloce e lo Spid. E allora, sostiene Miceli, “La sfida è capire come coniugare un processo di semplificazione, qual è la digitalizzazione, con la democrazia. Il tema dell’esclusione è il convitato di pietra in questo processo. La digitalizzazione sarà reale e avrà successo solo se potrà riguardare l’insieme delle persone”.

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Se questo è il tema, allora due sono gli strumenti da mettere in campo. Da un lato l’infrastruttura, che deve essere a disposizione di tutte e tutti. Il secondo riguarda il processo di alfabetizzazione e formazione. “La formazione – aggiunge Miceli - è importante per qualsiasi lavoro si faccia. Quando bisogna lasciare il quaderno e la penna e lo si fa per la prima volta nella propria vita, c’è qualcosa in più che bisogna imparare, che deve diventare familiare. E penso che più che anagrafico sia un problema legato alla marginalità sociale. Dobbiamo investire per fare in modo che la gente non sia esclusa anche dal nuovo mondo oltre che dal vecchio. Si tratta di una grande scommessa: non stiamo parlando di una formazione classica o stereotipata, ovviamente. Non esiste un corso di formazione digitale, esiste la crescita complessiva delle persone nella loro vita e nelle condizioni nelle quali si muovono che li leghi al nuovo mondo”.

Gestire, orientare e realizzare questo processo non può che essere compito del sistema pubblico. Conclude Emilio Miceli: “Tutte le grandi rivoluzioni, tutti i grandi cambiamenti sono risultati tali quando gli Stati sono riusciti a far diventare pervasivi i cambiamenti. Il tema del ruolo dello Stato è importante in epoca di grandi rivolgimenti tecnologici ed economici. Oggi siamo in presenza di due grandi rivoluzioni: una che ci promette di far scomparire il motore a scoppio, l’altra che ci promette un processo di digitalizzazione che ci permette, persino, di lavorare da casa, come abbiamo sperimentato in questi mesi. Questi due processi possono vivere, possono essere elementi di cambiamento che le persone reputano importanti, soltanto se il sistema pubblico è in grado di pervadere l’insieme del Paese”.

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