In molti tra gli studiosi di economia e di scienze sociali, sostengono che la pandemia provocata dal virus Covid-19 ha fatto emergere limiti e contraddizioni di un modello economico e di un sistema produttivo fondati sui principi del capitalismo e del liberismo e pressoché esclusivamente basati sull'idea preminente del profitto e del meccanismo di accumulazione.

Alle critiche di studiosi di area progressista e della sinistra più radicale, si sono via via aggiunte le voci di esponenti politici dei settori centristi e conservatori della scena europea e quelle sempre più frequenti e forti della Chiesa cattolica. Per fare solo pochi esempi, qualche mese fa Bruno Le Maire, ministro delle Finanze del governo francese, ha affermato che “il capitalismo è in un vicolo cieco”, mentre la stampa commentava i reiterati appelli di personalità come Joseph Stiglitz o Mariana Mazzucato, a lavorare per una profonda riforma in senso democratico e sociale del capitalismo.

Nella stessa direzione, e con un deciso segno di denuncia della situazione presente, vanno le parole scritte da Papa Francesco nella lettera con cui ha invitato ad Assisi duemila giovani economisti di tutto il mondo per discutere di “come cambiare l'attuale economia” e di “come dare un'anima all'economia di domani”. Per Bergoglio serve un'economia “che fa vivere e non morire, include e non esclude, umanizza e non disumanizza, si prende cura del creato e non lo depreda”.

In sintesi, si può affermare che l'esigenza del cambiamento del modello economico e del definitivo superamento dei totem ideologici del liberismo e del capitalismo non è più solo un assillo dei movimenti sociali e delle rappresentanze dei lavoratori, perdurando l'afasia e l'assenza di coraggio al riguardo da parte della sinistra politica a ogni latitudine. Nel mondo sindacale, a livello europeo come internazionale, è ormai radicata la convinzione che la questione non è se serve un nuovo paradigma economico che tenga conto delle nuove sfide sociali, climatiche, ambientali e tecnologiche. La questione è, semmai, come e quanto rapidamente definire e compiere le scelte politiche necessarie per quel nuovo modello di sviluppo su cui ripetutamente insistono Maurizio Landini e l'insieme della Cgil.

Tra gli elementi decisivi per il nuovo auspicabile assetto economico vi sono senza dubbio i temi della sostenibilità ambientale delle produzioni industriali di domani e della transizione verso una energia elettrica verde, non inquinante, senza carbone. Siamo di fronte a una duplice sfida. Da un lato, la trasformazione green delle attività industriali tradizionali e particolarmente energivore, con la definizione di nuovi modelli di produzione, di concezioni innovative delle aree e degli spazi individuali e collettivi di lavoro, di materiali del futuro da impiegare, a partire dal grafene. Dall'altro lato, il processo di graduale abbandono dei combustibili fossili e la loro sostituzione con fonti alternative rinnovabili e pulite, in una transizione che non sarà semplice né indolore per i settori produttivi coinvolti, per i lavoratori impiegati nelle attività industriali da superare e riconvertire, per i territori nei quali maggiore è la presenza di impianti e infrastrutture da ristrutturare o da ricostruire. Una transizione che riguarderà tutti i settori industriali e che inciderà particolarmente sulla siderurgia, su tutta la filiera dell'automotive, sulla chimica, sul cemento e i materiali per le costruzioni, su gas ed elettricità.

Per tutto ciò, anche considerando i tempi necessariamente non brevi della transizione verso un moderno e sostenibile modello produttivo e verso un nuovo sistema energetico con al centro l'idrogeno verde, unanimemente ritenuto la soluzione ideale per conseguire l'obiettivo della Commissione europea di rendere l'Europa il primo continente carbon neutral entro il 2050, è fondamentale creare consenso sociale attorno alle politiche industriali e del lavoro necessarie per accompagnare la transizione. Come dimostrano i fenomeni di resistenza e opposizione all'abbandono dell'uso del carbone o all'utilizzo dei giacimenti minerari in tante aree d'Europa (in Polonia e in altre regioni dell'est europeo), senza il supporto e l'appoggio della gran parte della popolazione il percorso verso il cambiamento non potrà essere completato. Da qui la necessità che la transizione tecnologica ed energetica sia considerata non solo come un necessario intervento di natura scientifica e di ammodernamento industriale, ma sia anche e soprattutto parte di un generale processo di costruzione di una società più equa e giusta, non diseguale. Una società a misura delle persone e dei lavoratori, in cui l'industria, la manifattura, l'energia siano fattori positivi di riconciliazione tra lavoro e ambiente, tra le necessità produttive e quelle sociali, tra l'uomo e la natura.

 

Fausto Durante è coordinatore della Consulta delle politiche industriali della Cgil nazionale