“Uno scenario economico e occupazionale allarmante. I dati diffusi da Istat, Ocse, Bankitalia e Commissione europea ci avvertono: abbiamo di fronte una grande sfida che, per il bene del Paese, non possiamo perdere. Per vincerla dobbiamo però scegliere gli strumenti giusti: nuovi investimenti che creino lavoro e che lo qualifichino. Purtroppo, il decreto Semplificazioni non sarà sufficiente. Anzi, un provvedimento fondato su una strategia di deregolazione rischierà di peggiorare la situazione. Non ci sarà ripresa senza lavoro”. È quanto si legge in una nota della Cgil. “Vista l’importante dotazione di risorse, nazionali ed europee – aggiunge la Confederazione – occorre una strategia che coniughi l’emergenza con lo sviluppo del Paese, immaginando un nuovo ruolo economico dello Stato, che progetti nuovi investimenti, promuova e qualifichi il lavoro, sostenga i redditi, anche attraverso una riforma organica del sistema fiscale”.

Le previsioni d’estate della Commissione europea peggiorano il già drammatico quadro economico nazionale e internazionale, attribuendo all’incertezza della domanda e, in particolare, alla depressione degli investimenti il calo record del Pil dell’Italia nel 2020 (-11,2%), che precipita così in fondo alla classifica europea, oltre che una ripresa nel 2021 (+6,1%) ancor più debole di quella predetta a primavera. Nello scenario più ottimistico, in assenza di una seconda ondata di contagi nel terzo trimestre di quest’anno, sempre secondo la Commissione, le misure messe in campo dal governo potrebbero sollevare l’attività economica generale del nostro Paese e migliorare le previsioni. 

“A nostro avviso, però – osserva la Cgil – questa possibilità può avvenire solo se viene difesa l’occupazione e creato lavoro attraverso nuove politiche economiche e fiscali. Difatti, nella nota di maggio-giugno sull’andamento dell’economia italiana, l’Istat intravede segnali positivi, nello specifico nei dati più recenti sulle vendite al dettaglio e sulle esportazioni, ma conferma che non si ferma la progressiva erosione dell’occupazione e, di conseguenza, dei redditi delle famiglie. Non bastano consumi ed esportazioni a creare valore aggiunto e posti di lavoro, in assenza di investimenti pubblici e privati”.

Anche l’indagine straordinaria sulle famiglie italiane della Banca d’Italia rileva che metà della popolazione ha subìto una contrazione del reddito e che tale perdita aumenta considerevolmente in funzione della perdita dell’occupazione o della precarietà del lavoro. Malgrado ciò, Bankitalia sottolinea che aumenta la propensione al risparmio delle famiglie e, data la forte incertezza del contesto, quei risparmi assumono una funzione cautelativa e non si traducono in investimenti nell’economia reale. Non a caso, nell’Employment Outlook 2020, l’Ocse prevede livelli record di disoccupazione a fine anno (9,4% come media delle 34 economie più avanzate del Pianeta), che per l’Italia significherebbe raggiungere un tasso di disoccupazione del 12,4%, senza contare i nuovi inattivi scoraggiati, i sottoccupati ed i part-time involontari, e una condizione ancor più preoccupanti per i giovani e le donne.

“Pur affermando che la priorità assoluta deve restare la sicurezza nei posti di lavoro – come anche sottoscritto nei Protocolli tra governo e parti sociali – si dimentica della sicurezza del posto di lavoro e sbaglia ancora una volta ricetta quando indica come soluzioni per l’Italia l’aumento degli incentivi alle imprese, e, soprattutto, di riconsiderare il blocco dei licenziamenti e i limiti all’assunzione a tempo determinato. In una fase di grande riorganizzazione e trasformazione dell’occupazione occorre sostenere il più possibile il lavoro, anche attraverso una riforma degli ammortizzatori sociali e, nel breve periodo, attraverso il rilancio e il sostegno ai contratti di solidarietà, anche espansivi, determinando un incastro virtuoso fra ammortizzatori, formazione e rimodulazione dell'orario di lavoro. Occorre rafforzare contemporaneamente le politiche attive ed evitare di pensare che la soluzione per rilanciare l'occupazione sia un nuovo incremento della precarizzazione dei rapporti di lavoro”.