Come “domare” - direbbe Thomas Piketty - il groviglio non tanto del capitalismo mondiale, bensì più modestamente quello delle faccende italiane, classicamente declinabili in termini di economia, società e politica, tutte tristemente in declino? Laura Pennacchi, Daniele Archibugi ed Edoardo Reviglio provano a suggerire una scaletta di priorità, sulla scorta degli errori brucianti commessi dalla politica e dalle autorità monetarie di fronte alla drammatica crisi del 2007-2008.

La loro parola d’ordine è una sola, ma di peso: riprendere il filo già individuato da Romano Prodi. Ovvero il rilancio dello Stato e della sua capacità progettuale, come un'unica robusta struttura in grado di far ripartire l’Italia  del post-Covid Il tono sobrio dell’articolo non deve ingannare: ciò che si chiede è nientemeno che una task force a livello ministeriale, rafforzata da squadre di specialisti in grado di “prender parte” a “decisioni strategiche fondamentali, come la variazione degli assetti proprietari". Non è piccola cosa. Anzi è decisamente grande ed entusiasmante.

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L’esempio del New Deal, al quale Laura Pennacchi è giustamente affezionata, è un grande libro da riaprire e ripercorrere soprattutto in certi capitoli. Non a caso una modernissima volpe come il direttore della Serpentine Gallery di Londra non manca di farvi continuamente riferimento, come esempio di sapiente coinvolgimento di artisti e intellettuali nella progettazione metropolitana.

Il riferimento al New Deal è dunque particolarmente azzeccato, perché costituisce uno dei rarissimi casi storici in cui si è vista all’opera una straordinaria alleanza tra Big Government e Big Labor (per dirla con gli americani) con l’opportunistico inserimento - a detta dei super-radicali United Workers of the World - del Big Business. Oggi siamo più concilianti e non ci dispiacerebbe affatto un tale inserimento: se solo ci fosse alla testa degli “affari” qualcuno di più lungimirante dell’attuale dirigenza di Confindustria...