Le valutazioni espresse dalla Cgil sul decreto rilancio definiscono le misure finalizzate al contrasto della povertà non rispondenti a una situazione già drammatica e amplificata dall’emergenza. A spiegarne i motivi Giordana Pallone, responsabile delle Politiche di contrasto alla povertà per il sindacato di Corso Italia.

Perché una bocciatura da parte del sindacato?

Le politiche adottate con il decreto rilancio non sono assolutamente sufficienti, in quanto parziali e limitate. Il motivo è che non si interviene in modo strutturale sulla povertà, già a livelli inaccettabili prima della pandemia. Alla luce delle conseguenze socioeconomiche che stiamo vedendo e che vedremo ancor più nei prossimi mesi, si può dire con ragionevole certezza che la povertà aumenterà esponenzialmente oltre che in modo drammatico e il decreto non previene una nuova ondata che, peraltro, è già riscontrata dalle segnalazioni dei Comuni, della Caritas e di altre associazioni che stanno certificando un aumento importante di flussi di persone che chiedono aiuto dopo la chiusura dei luoghi di lavoro e dei servizi, chiusura che ha lasciato gravi conseguenze sulle persone. Unico intervento mirato è il Reddito di emergenza, ma si tratta pur sempre di una soluzione temporanea e con criteri di accesso che non rispondono precipuamente alla necessita di una seria lotta alla povertà.

Cosa sarebbe stato meglio fare?

Sarebbe stato più efficace intervenire invece sul reddito di cittadinanza correggendo le criticità all’origine, come i requisiti di residenza e cittadinanza. Noi, come Cgil e soprattutto come Alleanza contro la povertà - che in questi anni abbiamo posto il problema della povertà assoluta come centrale – abbiamo sollevato la questione delle famiglie numerose e con minori, che è la fascia maggiormente colpita dalla crisi. Immaginiamo cosa voglia dire per una famiglia numerosa e con minori trovarsi con tutti i servizi chiusi, soprattutto quelli educativi e tutte le attività scolastiche e immaginiamo anche solo banalmente al venire meno di un pasto al giorno per i figli, quello della mense... la drammaticità della situazione. Spesso sono famiglie che sono state penalizza dal reddito di cittadinanza ed è lì che si sarebbe dovuto intervenire, su coloro che talvolta si trovano appena al di sopra della soglia stabilita dai criteri di accesso e spesso si tratta di stranieri. Il reddito d’emergenza dura due mesi, naturalmente va bene perché si allarga la platea innalzando la soglia reddituale, quindi non si interviene solamente sulla povertà assoluta, però è una misura insufficiente, né è sufficiente il fondo istituito per l’emergenza alimentare, anche perché non è strutturale.

Sta dicendo che siamo in assenza di una visione a lungo termine?

Quelli del decreto Rilancio sono interventi positivi ma parziali e comunque manca un programma europeo di contrasto alla povertà estrema, una visione strutturale di potenziamento alla lotta alla povertà attraverso il rafforzamento dei servizi sociali pubblici territoriali che dovrebbero rispondere ai bisogni e all’emergenza povertà non ascrivibili solamente alla determinante economica, perché la povertà è fatta di tanti aspetti che variano da nucleo a nucleo e che devono essere affrontati nella loro complessità. È quindi necessaria la presa in carico adeguata dei servizi sociali comunali e il loro rafforzamento e questo nel decreto non c’è, come non c’è un fondo aggiuntivo a quello attuale che corrisponde solamente allo 0,4% del Pil.

Concorda quindi con chi lamenta a gran voce anche la mancanza di misure per le politiche per infanzia e adolescenza?

Anche in questo caso parliamo di insufficienza e inadeguatezza. Se si pensa che la risposta ai bisogni sociali ed educativi dei minori possa essere delegata alle famiglie, al privato o al privato sociale, questa strada non è perseguibile. Lo abbiamo visto ad esempio con i congedi straordinari: sono stati allungati di 15 giorni, arrivando però solamente a 30 giorni complessivi su un monte ore scolastico infinitamente maggiore, oltre al fatto che ne possono usufruire solamente coloro che se lo possono permettere, perché sono congedi al 50% della retribuzione.  Dipende anche dal tipo di lavoro che un genitore svolge, per i cosiddetti essenziali c’è stato un bonus doppio e non dico che non vada bene, ma, se davvero nulla dovrà essere più come prima, dovremmo partire dal fatto che le politiche sociali pubbliche non possono essere tradotte solamente in trasferimenti monetari, perché quello che serve ancor di più è un sistema adeguato di servizi pubblici. Cittadini di ogni età e fascia socio economiche devono vedersi riconoscere il diritto a un’uguaglianza di opportunità (abitare, studio, cure, assistenza, ma il decreto non interviene in questo senso. I dati parlavano di 5 milioni di italiani in povertà assoluta e di 10 milioni in povertà relativa e si sapeva che la situazione sarebbe peggiorata, motivo per il quale un’attenzione maggiore era necessaria.  La scuola e il sistema integrato hanno una loro specificità ed è necessario rispondere ai bisogni di tutti, ma in realtà il capitolo della politiche sociali per i minori in Italia non è stato mai veramente affrontato.