Dal 2017 il Parlamento italiano ha reso istituzionale "la giornata in memoria dei Giusti dell’umanità" da celebrarsi il 6 marzo di ogni anno, recependo l’azione del Parlamento europeo che già nel maggio del 2012 aveva ufficialmente istituito la giornata europea dei Giusti. Il primo Giardino dei Giusti, nato a Gerusalemme nel 1963, ricordava i Giusti non ebrei che avevano contribuito con opere meritorie a salvare la vita agli ebrei durante la Shoah.

Con il tempo il concetto di ‘giusto’ è stato esteso a tutti coloro che si sono opposti con responsabilità individuale ai crimini contro l’umanità e a tutti i totalitarismi. A tal scopo sono stati creati dei giardini in cui vengono piantati alberi in omaggio e in ricordo non solo di coloro che hanno aiutato gli ebrei durante l’Olocausto ma anche di chi ha salvato vite umane nel corso di tutti i genocidi e omicidi di massa come quelli armeni, bosniaci, cambogiani, ruandesi, oltre che di altri crimini contro l’umanità commessi nel ventesimo e ventunesimo secolo.

“Il termine 'giusto' - specifica Anna Maria Samuelli, docente di storia e filosofia - è tratto dal passo della Bibbia che afferma 'chi salva una vita salva il mondo intero', ed è stato applicato per la prima volta in Israele in riferimento a coloro che hanno salvato gli Ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Il concetto è stato ripreso per ricordare i tentativi di fermare lo sterminio del popolo armeno in Turchia nel 1915 e per estensione a tutti quelli che nel mondo hanno cercato o cercano di impedire il crimine di genocidio, di difendere i diritti dell’uomo - in primo luogo la dignità umana - nelle situazioni estreme, o che si battono per salvaguardare la verità e la memoria contro i ricorrenti tentativi di negare la realtà delle persecuzioni”.

La legge istitutiva della ricorrenza, calendarizzata nel 2016, è stata approvata dalla Camera il 26 luglio 2017, e al Senato il 7 dicembre 2017, diventando così solennità civile.

Recita il suo art. 1: “La Repubblica, in conformità alla dichiarazione scritta n. 3/2012 sul sostegno all’istituzione di una Giornata europea in memoria dei Giusti, approvata dal Parlamento europeo il 10 maggio 2012, riconosce il 6 marzo come 'Giornata dei Giusti dell’umanità', dedicata a mantenere viva e rinnovare la memoria di quanti, in ogni tempo e in ogni luogo, hanno fatto del bene salvando vite umane, si sono battuti in favore dei diritti umani durante i genocidi e hanno difeso la dignità della persona rifiutando di piegarsi ai totalitarismi e alle discriminazioni tra esseri umani”.

I giusti onorati quest'anno sono: Carlo Urbani, medico italiano, attivo in operazioni umanitarie, che nel 2003 è stato il primo a identificare la Sars e a rendere pubblico il pericolo, realizzò un protocollo di quarantena ma, ammalatosi, pagò con la sua stessa vita; Dag Hammarskjold: segretario generale Onu, Nobel per la pace; Liu Xiaobo, autore della Carta 08, manifesto dove ha auspicato la democrazia politica in Cina, condannato e imprigionato, ha ricevuto il Nobel per la pace ed è divenuto simbolo della lotta per i diritti umani; Liu Xia, pittrice cinese, sottoposta agli arresti domiciliari affinché non diffondesse la voce del marito Liu Xiaobo; Ruth Bader Ginsburg, giudice della Corte Suprema americana, che si è battuta per la democrazia, la parità di genere e la difesa delle minoranze. A essere ricordati insieme a loro anche Eugenio Damiani, Alessandro Cofini, Giorgio Paglia e Maria Lucia Vandone, Maria Mascaretti, la famiglia Sopianac, Erich Eder, Maurizio Lazzaro de’ Castiglioni e Susanna Aimo. 

“In occasione della Giornata dei Giusti dell’umanità - chiarisce l’art. 3 - gli istituti scolastici di ogni ordine e grado possono organizzare, nell’ambito del normale orario scolastico, iniziative mirate a far conoscere ai giovani le storie di vita dei Giusti, a renderli consapevoli di come ogni persona debba ritenersi chiamata in causa, in ogni tempo e in ogni luogo, contro l’ingiustizia, a favore della dignità e dei diritti umani, in difesa del valore della verità (…)”.

Scriveva qualche anno fa la Senatrice a vita Liliana Segre proprio a quegli studenti ai quali non ha mai smesso nel tempo di rivolgersi: “Questo è un anno dalla doppia ricorrenza, le orrende leggi razziste e, fortunatamente, dieci anni dopo, l’entrata in vigore della Carta fondamentale. Il filo rosso che le unisce è l’articolo 3, quel Manifesto dell’eguaglianza e della dignità umana che deriva direttamente dalla rivoluzione francese. Poche righe che cancellano in un solo istante venti lunghissimi anni di dittatura. Con la Costituzione repubblicana siamo entrati tutti, uomini e donne di ogni ceto, nell’età dei diritti. È solo attraverso l’attuazione ed il rispetto della nostra Costituzione che possiamo garantire una buona manutenzione della nostra Democrazia. Come dicevano i nostri padri costituenti la Carta è la base della legalità repubblicana. Quale miglior viatico dunque per voi giovanissimi ragazzi e ragazze che l’invito alla lettura e, auspicalmente, al rispetto della nostra Bibbia Laica? La mia storia personale di testimone della memoria nell’ultimo anno è diventata di dominio pubblico con la mia nomina a Senatrice a vita da parte del Presidente della Repubblica. Il mio cammino è iniziato trent’anni fa il giorno in cui ho pensato di rompere il silenzio sulla Shoah. Un Paese che ignora il proprio ieri non può avere un domani. La Memoria è un bene prezioso e doveroso da coltivare. Sta a noi farlo. A che serve la memoria? A difendere la democrazia”.

Un impegno, importante e mai come oggi necessario, che la senatrice ha fatto proprio dal principio, affermando nel suo discorso d’insediamento al Senato: “Signor Presidente - diceva quel giorno - signor Presidente del Consiglio, colleghi senatori, prendendo la parola per la prima volta in quest’Aula non possa fare a meno di rivolgere innanzitutto un ringraziamento al presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il quale ha deciso di ricordare l’ottantesimo anniversario dell’emanazione delle leggi razziali, razziste, del 1938 facendo una scelta sorprendente: nominando quale senatrice a vita una vecchia signora, una persona tra le pochissime ancora viventi in Italia che porta sul braccio il numero di Auschwitz. Porta sul braccio il numero di Auschwitz e ha il compito non solo di ricordare, ma anche di dare, in qualche modo, la parola a coloro che ottant’anni orsono non la ebbero; a quelle migliaia di italiani, 40 mila circa, appartenenti alla piccola minoranza ebraica, che subirono l’umiliazione di essere espulsi dalle scuole, dalle professioni, dalla società, quella persecuzione che preparò la Shoah italiana del 1943-1945, che purtroppo fu un crimine anche italiano, del fascismo italiano. Soprattutto, si dovrebbe dare idealmente la parola a quei tanti che, a differenza di me, non sono tornati dai campi di sterminio, che sono stati uccisi per la sola colpa di essere nati, che non hanno tomba, che sono cenere nel vento. Salvarli dall’oblio non significa soltanto onorare un debito storico verso quei nostri concittadini di allora, ma anche aiutare gli italiani di oggi a respingere la tentazione dell’indifferenza verso le ingiustizie e le sofferenze che ci circondano.  A non anestetizzare le coscienze, a essere più vigili, più avvertiti della responsabilità che ciascuno ha verso gli altri”.

“Ho partecipato a tante mostre su Anna Frank - diceva sempre la senatrice Segre - Quanti ricordi, quanti discorsi. Sono una sopravvissuta, una testimone, sono come sarebbe stata lei oggi se fosse stata risparmiata. Anna Frank è morta prima di diventare quella donna che sarebbe stata. Non ha potuto diventare sposa, mamma e non ha potuto diventare nonna. È rimasta la ragazza del rifugio segreto, nel cuore di tutti. Come si fa a dimenticare Anna Frank? Come si fa a mettere Anna Frank sulle magliette di quelli che vanno nelle curve degli stadi? Come si fa a esprimere una bestemmia di questo genere? È ignoranza, oltre che insensibilità. Vuol dire non aver letto e studiato la storia. Mettere quelle magliette è uccidere di nuovo Anna Frank, tante volte quante sono le persone che le indossano”.

“È un gran miracolo che io non abbia rinunciato a tutte le mie speranze perché esse sembrano assurde e inattuabili, scriveva la ragazzina pochi giorni prima che i tedeschi irrompessero nell’alloggio segreto. Le conservo ancora, nonostante tutto, perché continuo a credere nell’intima bontà dell’uomo. Mi è impossibile costruire tutto sulla base della morte, della miseria, della confusione. Vedo il mondo mutarsi lentamente in un deserto, odo sempre più forte l’avvicinarsi del rombo che ucciderà noi pure, partecipo al dolore di milioni di uomini, eppure quando guardo il cielo, penso che tutto si volgerà nuovamente al bene, che anche questa spietata durezza cesserà, che ritorneranno l’ordine, la pace e la serenità”.

In fondo, Anna, noi lo speriamo ancora, nonostante tutto. Nonostante la Corea, la Cina, la Malaysia, il Bangladesh, la Siria, la Bosnia, la Turchia, la Libia. Perché la storia, purtroppo, non è ancora finita. Perché di campi di concentramento, oggi, è ancora pieno il mondo.