L'intento è chiaro: punire, torturare, umiliare le donne che "osano" ricorrere all'aborto. Basta scorrere le cronache di questi giorni, basta leggere le denunce e le testimonianze di tante e tante donne finalmente uscite allo scoperto, per rendersene conto. Sembra di essere precipitati dentro una storia dell'orrore. O dentro il cupo e crudele mondo del Racconto dell'ancella, il romanzo distopico di Margaret Atwood. Un mondo dove il corpo femminile è un "campo aperto" di battaglia. Ma cosa è successo? Che un fatto sommerso, tenuto al riparo da ogni possibile scandalo, è venuto a galla perché una donna ha detto: è ora di finirla.

E molte altre hanno trovato la forza e il coraggio per seguire il suo esempio, raccontando lo strazio e l'abuso patito. Portando in giudizio, davanti all'opinione pubblica, le attività svolte da una serie di associazioni dai nomi significativi: "Armata bianca", "Difendere la vita con Maria" e giù elencando. Associazioni "religiose" (a loro dire), che fanno il bello e il cattivo tempo negli ospedali e addirittura nei cimiteri, trasformati in luoghi di propaganda politica. Così accade che i feti abortiti vengano prelevati dagli ospedali, portati in processione e sepolti con rito "religioso" in cosiddetti "cimiteri degli angeli". Con tanto di croce. E con tanto di nome e cognome della "madre". Ma all'insaputa e senza il consenso della diretta interessata.

Una violenza inaudita. Compiuta in aperto disprezzo di qualsiasi norma sulla privacy. E di qualsiasi umana pietà. Tant'è vero che non c'è differenza, per i nuovi crociati di questo terzo millennio, se l'aborto è terapeutico, ossia una necessità non voluta, o è la libera scelta (garantita da una legge dello Stato) di un'interruzione di gravidanza. A loro interessa soltanto mettere una croce sopra ogni feto ("una blasfemia", l'ha definita giustamente Livia Turco). Non sanno cosa sia la pietà, questi sedicenti cristiani. Desiderano solo la pubblica gogna per le donne "colpevoli" di aborto. Sospetto che, se potessero, stamperebbero sulla loro fronte o sul loro petto una A rosso fuoco. Proprio come avveniva per le adultere nel romanzo ottocentesco di Hawthorne, La lettera scarlatta. Un desiderio di gogna evidente, fra l'altro, in quei nomi e cognomi di donna scritti sopra le croci, in un Paese, come il nostro, in cui il diritto di trasmettere il nome è ancora appannaggio maschile (la regola del patronimico, la chiamano: del padre, per l'appunto).

Eppure, più di quarant'anni fa, con l'approvazione della legge sull'interruzione di gravidanza, ci era parso di aver fatto un vero e proprio salto di civiltà. Eravamo diventate davvero cittadine a pieno titolo, capaci di autodeterminarci: la maternità, adesso, era una libera scelta e su questo non si poteva tornare indietro. Invece ci eravamo illuse. Io mi ero illusa. Il corpo delle donne è, adesso come allora, terreno di contesa e di scontro politico. Ma oggi, al contrario di allora, la politica è tenuta a dar conto di ogni passo indietro. Per cominciare, l'accesso all'aborto: chi ha consentito, in tutti questi anni, che un diritto regolamentato da una legge si sia trasformato in un'autentica tortura, tra umiliazioni personali e dolori sadicamente inflitti, dolori che sarebbe facile evitare grazie alla medicina moderna? È difficile leggere le testimonianze uscite sui giornali nei giorni scorsi senza rabbrividire. E senza chiedersi come siamo arrivati a tanto. Ma sicuramente se lo chiedono associazioni come Differenza Donna o le avvocate che già pensano ad azioni legali collettive. È mai possibile, per esempio, che un ginecologo giunga a consigliare: "Vada a Londra, se vuole abortire"?

D'altronde in Italia è davvero un percorso a ostacoli, un iter improponibile: per capirlo, è sufficiente guardare le percentuali dei medici obiettori di coscienza (di quale "coscienza" si tratti, non staremo qui a discutere). In Trentino Alto Adige sono il 92,9%, in Puglia l'86,1%, nel Lazio l'80,7 e così via. Ma possibile che un solo presidente di regione (e voglio fare il nome: Nicola Zingaretti) si sia posto il problema e abbia fatto un bando per assumere "non obiettori"?  È possibile che nessuno abbia ancora pensato di adeguare alla legge 194 il vecchio regolamento di polizia mortuaria, così che nessuno abbia mano libera per portare i feti in processione? O che nessuno si chieda se è normale che associazioni integraliste firmino protocolli d'intesa con i comuni e con la sanità pubblica... Di certo a qualcuno sembrerà conveniente: gli ospedali si liberano dei costi di smaltimento e che importa se ciò avviene a danno della dignità e dei diritti delle donne? Che importa se si tratta di una pratica che aggiunge dolore a dolore? Ma a tutto questo la politica oggi deve rispondere. Anche perché le donne non staranno più zitte, a quanto pare.

Maria Rosa Cutrufelli è scrittrice