“Siamo a un livello mai visto, è sconcertante”. È la sconsolata conclusione che trae l’avvocata di Diritto dell’immigrazione e dell'asilo Anna Brambilla, consigliera del direttivo Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) dopo avere analizzato il cosiddetto decreto Cutro, che lei preferisce però non chiamare così, perché quanto accaduto nel mare di Calabria deve rimanere come memoria di una tragedia e non preso a pretesto per un provvedimento che non contribuisce a salvare vite umane.

Brambilla cerca di contare i numerosi decreti in materia di immigrazione che si sono succeduti negli ultimi 20 anni e sono quasi una decina: quelli chiamati Sicurezza del 2008 e 2009, quello voluto da Matteo Salvini e poi modificato da Luciana La Morgese, nelle loro funzioni di ministro, e ancora altri. Tutte norme varate “sulla base di supposte necessità di urgenza, che non corrisponde alla realtà andando in direzione inversa alla logica di costruire politiche normative e di gestione di un fenomeno sistemico come l’arrivo di persone che a volte cercano asilo o protezione internazionale”. 

La politica dei decreti è quindi fallimentare e da criticarsi nella sua natura prima ancora che nei contenuti, spiega l’avvocata, perché quello che occorre è una visione d’insieme, mentre vengono usati strumenti che invece “spezzettano e frammentano il quadro normativo che ha invece bisogno di essere uniformato". Quelli messi in campo sono poi interventi che “creano lacune e generano questioni di interpretazione, arrivando ad avere anche profili di incostituzionalità, tanto che, per l’ultimo decreto, gli uffici legislativi del Quirinale hanno fatto rilievi che renderanno necessario un correttivo”. E ancora, queste norme “appesantiscono il sistema giudiziario perché – dice - faremo molto più ricorso ai giudici, visto che il decreto, anziché fornire tutele, favorisce l’irregolarità, quindi sfruttamento, grave marginalizzazione e precarietà”.

Solleva poi un’altra questione davvero preoccupante Anna Brambilla: le norme approvate, anche con passati decreti, ricalcano “le riforme volute dall’Europa e infatti a livello Europeo alcune nostre disposizioni sono molto ben viste, perché in qualche misura rispondono a politiche migratorie più ampie. Siamo nella solita situazione di ambiguità”.

Il messaggio che lancia il governo è chiaro, dal momento in cui si aboliscono le conversioni di alcuni permessi di soggiorno, come quello per cure mediche, in permessi per motivi di lavoro e si riducono quelli per i minori non accompagnati che arrivano in Italia e poi diventano maggiorenni. Tutto questo “peserà tantissimo sulle persone che assistiamo – testimonia l’avvocata -, avremo grandi difficoltà per la tutela effettiva, avremo gli strumenti per aiutare magari 2 o 3 persone, i nostri assistiti, ma quanti saranno però coloro che non potranno avere una difesa, magari perché chiusi in hotspot per quattro settimane e poi rimpatriati velocemente senza valutare in modo effettivo il loro bisogno di protezione?”.

Nell’intervista trattiamo poi il versante che riguarda il lavoro, la concezione che sta tra le basi del provvedimento secondo la quale gli immigrati sono solamente braccia da lavoro da fare entrare in Italia secondo i bisogni degli imprenditori. Brambilla sostiene che si tratta di una visione distorta del mercato del lavoro, spiegando che ci sono due livelli di stortura: “Da una parte la precarietà, la irregolarità e la marginalizzazione dei migranti, dall’altra le richieste fatte dall’Europa che ci portano a sperimentare alcuni meccanismi, come accaduto in Grecia”.

La volontà manifestata con l’ultimo decreto è comunque quella di “evitare i percorsi di integrazione dei migranti”, così da fare venire meno i motivi per consentire la loro permanenza nel nostro Paese i e infatti “tolgono i corsi di italiano e alcuni servizi per i richiedenti asilo”. L’ultima considerazione di Brambilla è amara: “Pensiamo tutte le volte di essere arrivati al peggio e invece c’è sempre una maggiore distruzione della cultura dei diritti umani europea”.