Vincitore del premio Nobel per la Pace nel 1964, promotore delle battaglie per i diritti civili della popolazione nera degli Stati Uniti e simbolo della lotta contro la segregazione razziale, Martin Luther King viene assassinato nel pieno della sua battaglia il 4 aprile 1968 a Memphis da James Earl Ray, un criminale comune razzista, arrestato l’8 giugno successivo.

Come la maggior parte dei grandi eventi e degli omicidi politici del Novecento, il suo assassinio è ancora oggi circondato da misteri e circostanze non chiare che con ogni probabilità rimarranno tali per sempre.

“Sono stato in cima alla montagna - diceva il reverendo il giorno prima di essere ucciso - E non mi importa. Come tutti, vorrei vivere una vita lunga. La longevità ha la sua importanza. Ma non mi interessa ora, voglio fare il volere di Dio. E Lui mi ha permesso di salire in cima alla montagna. E ho guardato giù, e ho visto la terra promessa. Potrei non arrivarci con voi. Ma voglio che sappiate stasera che noi, come popolo, arriveremo alla terra promessa. Sono così felice stasera. Non sono preoccupato di niente. Non temo nessun uomo”.

Su richiesta della vedova Coretta King al funerale del marito (svoltosi ad Atlanta, alla presenza dell’ex First Lady Jacqueline Kennedy, del vicepresidente Hubert Humphrey e di decine di migliaia di persone) sarà letto l’ultimo sermone che il reverendo aveva pronunciato il 4 febbraio di quell’anno, conosciuto come Drum Major Instinct, letteralmente “L’istinto del tamburo maggiore”.

“Se vorrete dire che ero un tamburo maggiore - affermava in esso King - dite che ero un tamburo maggiore per la giustizia. Dite che ero un tamburo maggiore per la pace. Ero un tamburo maggiore per la rettitudine. E tutte quelle altre cose futili non conteranno nulla”.

Ogni tanto - scriveva - immagino, tutti noi pensiamo in modo realistico al giorno in cui resteremo vittime di quello che é il definitivo comune denominatore della vita: quella cosa che chiamiamo morte.
Tutti noi ci pensiamo.
E di tanto in tanto io penso alla mia morte, e penso al mio funerale.
Non ci penso in maniera morbosa.
Di tanto in tanto mi domando: “Che cosa vorrei che di­cessero?”.
E stamani lascio a voi la parola.
Quel giorno mi piacerebbe che si dicesse: Martin Luther King junior ha cercato di dedicare la vita a servire gli altri.
Quel giorno mi piacerebbe che si dicesse: Martin Luther King junior ha cercato di amare qualcuno.
Vorrei che diceste, quel giorno, che ho cercato di essere giusto sulla questione della guerra.
Quel giorno vorrei che poteste dire che ho davvero cercato di dar da man­giare agli affamati.
E vorrei che poteste dire, quel giorno, che nella mia vita ho davvero cercato di vestire gli ignudi.
Vorrei che diceste, quel giorno, che ho davvero cercato, nella mia vita, di visitare i carcerati.
Vorrei che diceste che ho cercato di amare e servire l’umanità
.
Sì, se volete dire che sono stato un tamburo maggiore, dite che sono stato un tamburo maggiore per la giustizia.
Dite che sono stato un tamburo maggiore per la pace.
Sono stato un tamburo maggiore per la rettitudine.
E tutte le altre cose di superficie non conteranno.
Non avrò denaro da lasciare dietro di me.
Non avrò le cose belle e lussuose della vita da lasciare dietro di me.
Ma io voglio avere soltanto una vita impegnata da lasciarmi alle spalle.
Ed é
tutto quel che volevo dire.
Se riesco ad aiutare qualcuno mentre passo, se riesco a rallegrare qualcu­no con una parola o con un canto, se riesco a mostrare a qualcuno che sta andando nella direzione sbagliata, allora non sarò vissuto invano.
Se riesco a fare il mio dovere come dovrebbe un cristiano, se riesco a portare la salvez­za a un mondo che é
stato plasmato, se riesco a diffondere il messaggio come il Maestro ha insegnato, allora la mia vita non sarà stata invano.