Tanti anni di attesa, ma alla fine la buona notizia è arrivata. Grazie a un emendamento presentato dalla vicepresidente del Senato, Anna Rossomando, al disegno di legge di conversione del decreto Sostegni Ter 1 milione e 200 mila persone con Dsa potranno godere finalmente di pieni diritti nello svolgimento del proprio lavoro. Nessuna discriminazione sarà più possibile verso lavoratrici e lavoratori con dislessia, disortografia, disgrafia e discalculia.

Tutti, infatti, potranno chiedere e ottenere nel proprio lavoro e nei colloqui di selezione strumenti che permetteranno loro di compensare le difficoltà del proprio disturbo ed esprimere al meglio il proprio talento. 

“Si tratta di una grande conquista, paragonabile a quella della legge 170 del 2010 per la scuola”, ci dice Antonella Trentin, vicepresidente dell’Aid (l’Associazione italiana dislessia), che in questa sua attività continua la grande battaglia anche culturale per i diritti del padre, Bruno Trentin, amatissimo segretario generale della Cgil. “È una norma molto importante – aggiunge –. Per la prima volta vengono assicurati diritti a persone che hanno come tutti indubbie qualità e punti di forza e che però hanno un disturbo che può creare loro difficoltà di lettura, scrittura e calcolo, con ricadute pesanti sulle attività lavorative”. Come si è visto a scuola, osserva Trentin, “queste persone, se vengono forniti loro strumenti adeguati e un ambiente di lavoro inclusivo, possono esprimere al meglio i propri talenti senza dover sprecare tempo e fatica in compiti che per loro sono particolarmente onerosi”.

Nel dettaglio, la nuova norma prevede il divieto di ogni forma di discriminazione nei confronti delle persone con Dsa nei luoghi di lavoro. Chi lo vorrà potrà chiedere nei colloqui di selezione del personale l’uso di computer con sintesi vocale, calcolatrice, schemi e formulari, oltre al tempo in più per i test di selezione scritti. Quelli già assunti potranno ricevere gli stessi strumenti e i cosiddetti “accomodamenti ragionevoli”.

Non solo: strumenti compensativi e misure dispensative dovranno essere applicati nella valutazione per l’accesso o il completamento di percorsi formativi finalizzati all’esercizio di attività e professioni, come gli esami per l’accesso agli Ordini professionali, nonché in ambito sociale. 

“Sono due gli aspetti fondamentali da sottolineare – riprende Trentin –. La volontarietà dei lavoratori nel dichiarare le loro condizione, e dunque la necessità di strumenti adeguati, e il fatto che questi strumenti alle imprese non costano nulla. Sono infatti già presenti in tutti i principali software di scrittura”. 

Se il costo è zero, perché allora c’è voluta una legge per porre rimedio a una discriminazione così pesante? “La questione – commenta la dirigente dell’Aid – è in effetti culturale e noi speriamo che queste norme servano a introdurre una cultura sempre più inclusiva nel mondo del lavoro. Il mio sogno è che prima o poi arriveremo a un’inclusione a tutto tondo: una situazione in cui non si debba più presentare una certificazione, ma semplicemente chiedere la possibilità di utilizzare strumenti che rendano possibile lavorare meglio”.

Prima di arrivare a questo, però, c’è almeno un’altra questione da risolvere. I centri che fanno diagnosi di Dsa per adulti sono molto pochi e spesso sono privati, quindi a pagamento. “Chiediamo perciò la presenza di un centro diagnostico pubblico e gratuito per adulti in ogni regione italiana, anche perché senza la certificazione non si ha alcun diritto ad usare gli strumenti: sul lavoro, all’università, nei concorsi pubblici, nell’esame per la patente”, chiosa Trentin.

Altra battaglia da vincere riguarda l'estensione di quanto previsto dalla legge 170 dal mondo della scuola all'università: a oggi negli atenei la fornitura a ragazze e ragazzi di strumenti compensativi e misure dispensatevi è a discrezione dei singoli docenti.

La storia
Tutti problemi che conosce bene Elio Benvenuti, 39 anni, che lavora in Alleanza Assicurazioni. Elio è discalculico, disgrafico, disortografico e dislessico. “Diciamo che ho fatto il pieno – scherza con noi al telefono –. Fino a 10 anni fa non avrei potuto lavorare perché le aziende non avevano strumenti adeguati. Non avrei ad esempio potuto gestire una polizza cartacea, mentre ora con tablet e software posso lavorare con i miei colleghi. Senza strumenti speciali, ma ordinari, e dunque senza stress continui generati dall’incapacità di gestire l’attività lavorativa”. Esperienze frustranti che in tanti hanno vissuto, come lo stesso Benvenuti che racconta come anni fa per motivi legati alla sua condizione di Dsa ha perso il lavoro in un call center. 

Penalizzazioni che iniziano già quando si cerca un’occupazione.  “Vengono da noi ragazzi in lacrime – racconta il delegato Fisac – perché non sanno come gestire il colloquio. Certe volte viene richiesto loro di riscrivere il curriculum a mano sul momento per vedere se è vero, e questo per un dislessico è molto complicato”.

Insomma: difficoltà nel superare i colloqui, disoccupazione, demansionamenti sono gli effetti più gravi di una discriminazione andata avanti per anni e che con queste legge si spera di superare. “Anche le aziende più riluttanti avranno ora l’obbligo di fornire, se richiesti, strumenti adeguati e di non discriminare – sottolinea Benvenuti –. È un’arma in più per il sindacato, che finora ha lavorato a protocolli con singole aziende, ad esempio Intesa San Paolo, ma su base, appunto, volontaristica. Ora abbiamo uno strumento vertenziale per le aziende recalcitranti”. 

D’altro canto si spera che a prevalere non sia la leva repressiva. Non discriminare le persone con Dsa conviene a tutti: alla società innanzitutto, per il quale altrimenti questa condizione diventa un costo. E anche per le aziende: “Queste persone – riprende Trentin – spesso hanno spiccate doti creative, derivate proprio dalle loro difficoltà e dalla conseguente necessità di trovare strade intelligenti per superarle. Quindi, capacità di problem solving e visione di insieme dei problemi: tutte qualità oggi fortemente richieste dal mercato del lavoro”.

“L’esempio che faccio sempre – conclude – è quello di Steven Spielberg, dislessico, il quale ama ripetere che per leggere una sceneggiatura impiega più tempo degli altri, ma così facendo l’assapora meglio e va più in profondità”.

Ecco: non necessariamente in una società che pure va così fretta la velocità è un valore o una dote indispensabile per far bene il proprio lavoro, quale che sia. Anche senza per forza arrivare a vincere un Oscar.