Lara Lugli è una pallavolista affermata quando nel 2018 resta incinta. Informa la società per la quale gareggia la Pordenone Volley e il contratto si risolve. Un mese più tardi, però, perde il bambino per un aborto spontaneo. Due anni dopo il caso si riapre: la società non solo le nega i mille euro dell'ultima mensilità ma la cita addirittura per danni. La "colpa" di Lara è non aver comunicato l'intenzione di avere una gravidanza con anticipo. Non solo: la rescissione del contratto a seguito della gravidanza avrebbe fatto perdere punti e sponsor alla società. Sembra un paradosso e invece è la realtà.

È la stessa giocatrice a denunciare l'accaduto in un post facebook corredato dalla comunicazione inviata dai vertici della squadra.

Una denuncia che arriva quando i riflettori sull'8 marzo si stanno già spegnendo ma che rilancia l'urgenza di tutelare le donne sempre. Ogni giorno dell'anno. Per Susanna Camusso, responsabile politiche di genere della Cgil che ai diritti delle sportive ha dedicato particolare impegno anche quando ha ricoperto il ruolo di segretaria generale "Questa storia è un concentrato di tutte le discriminazioni: quelle che le donne subiscono nello sport e quelle che impongono sempre, nella nostra società, un controllo sui corpi femminili, che portano un'azienda, in questo caso sportiva, persino a pensare di poter decidere se una propria dipendente possa o non possa avere figli. La vicenda di Lara è l'emblema del patriarcato che vede le donne un oggetto di proprietà altrui e non persone con vite proprie e propri diritti. Addirittura si arriva a rovesciare il danno subito da Lara, con il licenziamento, a ritorcerle contro scelte di vita negandole ciò che meritava e persino citando lei per danni. Un modello ritorsivo eticamente intollerabile".