“Lanciamo un appello per dare una svolta radicale alle politiche europee su immigrazione e asilo, ma anche un'azione concreta per promuovere una campagna di solidarietà a favore dei profughi che vivono in condizioni disumane nella provincia bosniaca di Bihac. È un'iniziativa a cui teniamo, su cui ci siamo spesi moltissimo e abbiamo riscontrato immediatamente disponibilità da parte delle altre associazioni”. E' quanto ci racconta il segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra a proposito dell’evento “Sabir per Lipa: sostenere i profughi in Bosnia, evacuarli subito”, trasmesso in diretta streaming giovedì 11 febbraio, dalle 10.30 alle 12.30, sulle pagine Facebook dei promotori e su Zoom. L'iniziativa, lanciata oltre che dalla Cgil, dagli organizzatori del festival Sabir, Arci, Caritas Italiana, Acli, arriva mentre è in atto la gravissima emergenza umanitaria nell'ultimo tratto della cosiddetta “rotta balcanica”. Migliaia di profughi, dopo la repentina chiusura di uno dei principali centri di transito della zona, il campo Lipa, sono da settimane all’addiaccio in Bosnia, in una situazione estrema, che ne mette a repentaglio la vita.

Cosa ci dice questa situazione, cosa sta succedendo?

Il dramma di questi profughi ci dice chiaramente che la rotta balcanica è tutt'altro che chiusa. Formalmente doveva esserlo, però, grazie all'accordo stipulato dall'Unione europea con la Turchia del 2016. Ma così non è. La rotta inizia in Grecia, e fisicamente finisce in Italia, a Trieste, e non ha mai smesso di essere percorsa da migliaia di persone, nonostante l’emergenza sanitaria causata dalla pandemia, quando diversi campi profughi nei Balcani sono stati messi in quarantena. Moltissime persone, soprattutto pachistani, afghani e bangladesi, vagano in quei boschi da anni, sono stati rinchiusi all’interno di campi o strutture di vario genere presenti in tutta l’area, inadeguati e sovraffollati. E oggi si sono fermati al confine, dove cercano di sopravvivere, anche a meno venti gradi sotto zero. E' una popolazione enorme, che paga le conseguenze del combinato disposto della miopia dell'Europa e della fragilità delle istituzioni croate e soprattutto bosniache. La situazione rispetto alla gestione del fenomeno migratorio nel paese balcanico, già molto fragile ormai da tempo, è infatti precipitata nelle ultime settimane, diventando gravissima. Le istituzioni bosniache e croate, però, non fanno nulla, nonostante siano state ben foraggiate dall'Ue.

La crisi dei profughi in Bosnia ha quindi radici lontane e diverse responsabilità?

Sicuramente. Per questo la nostra iniziativa è stata costruita col piglio dell'inchiesta, per raccontare quello che sta avvenendo in quei luoghi. Perché purtroppo la crisi umanitaria in atto rischia di essere sottodimensionata nell'opinione pubblica. In realtà si tratta di fatti gravissimi, che accadono a pochi passi da casa nostra, e che rappresentano un vero e proprio dramma sociale e umanitario. La nostra denuncia, però, va oltre l' oggi, Perché questa attualità è figlia di responsabilità precise e gravi. L'atteggiamento dell'Unione europea è quantomeno contraddittorio. Da una parte, ha speso 89 milioni in due anni per rafforzare il sistema di accoglienza in Bosnia, dall'altra è completamente inerme e sorda rispetto alla necessità di garantire dei canali umanitari. Il tentativo di modica del trattato Dublino è fallito miseramente a settembre scorso, quando è stato siglato il nuovo patto europeo. Un patto che non ha risposto in alcun modo ai problemi che ci sono, neanche a quelli sollevati dalla presidente von der Leyen, e che è ancora basato su una logica totalmente securitaria. L'Europa, insomma, rimane chiusa, non affronta con coraggio il fenomeno migratorio nel suo complesso e resta una fortezza. Quindi, oltre a denunciare le responsabilità delle istituzioni bosniache e croate, la nostra iniziativa critica la posizione dell'Unione europea. Oltre a ciò, puntiamo anche a raccogliere fondi per le organizzazioni umanitarie, le sole che oggi si stanno muovendo davvero per reggere l'impatto. Non vogliamo e non possiamo rimanere inermi di fronte alla gravità di quanto avviene davanti ai nostri occhi.

Nel frattempo nel nostro Paese c'è il rischio che chi ha costruito la propria fortuna dipingendo l’immigrazione come un pericolo, come la Lega di Salvini, torni presto al governo.

Intanto, le ultime dichiarazioni di Salvini sui temi migratori ci dimostrano quanto certe posizioni estremistiche fossero strumentali. Ora che il contesto è cambiato, cambia anche l'impostazione, che però resta ancora opportunistica. Aldilà di questo, però, la nostra azione resta in campo ancor più forte e decisa. Come sindacati, unitariamente, e insieme alle associazioni che fanno arte della nostra rete, non arretreremo, ma continueremo la nostra battaglia. In Italia, la modifica dei decreti Salvini è stata l'inizio, non certo la conclusione di un percorso che deve necessariamente portare a una riforma strutturale sul tema dell'immigrazione. Nel nuovo scenario, con una nuova maggioranza, e consapevoli del contesto in cui ci muoviamo, quello di una pandemia che pare mettere in secondo piano tutto il resto, la questione della Bosnia ci dimostra che il fenomeno migratorio resta una priorità. Perché la pandemia non diminuisce, ma anzi aggrava, le emergenze umanitarie in atto.