Appalti e subappalti senza controllo e caporalato nella ricostruzione post-sisma in provincia di Macerata. E' quanto emerge dall'inchiesta portata avanti dal Tribunale della città, e che ieri (20 gennaio) ha determinato il rinvio a giudizio di due imprenditori titolari di aziende impegnate nella fornitura e messa in opera delle Sae (soluzioni abitative di emergenza ndr) a Pieve Torina, Visso e Ussita. Tutto nasce dalle numerose denunce di irregolarità nei cantieri avanzate sin dal 2017 da parte di Cgil e Fillea Macerata, che ieri sono state ammesse come parti civili al processo. Almeno venti persone, secondo quanto riferisce il pubblico ministero, sarebbero state in questo caso impiegate dall'alba fino alle 19, con una pausa di 30 minuti, sottopagate, spesso senza busta paga e senza riposo settimanale.

“I capi di imputazione sono vari, ma la contestazione più rilevante riguarda l'articolo 603 bis del codice penale: intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. Però credo che quando verrà aperto il procedimento si contesterà un'aggravante dovuta al numero di dipendenti coinvolti. Nei cantieri c'è una profonda e diffusa illegalità, che si ritorce sopratutto contro i lavoratori stranieri. E' l'ultimo anello di una catena di illegalità che è molto complicata da ricostruire”, ha specificato durante una conferenza stampa l'avvocato Bruno Pettinari, che segue il processo per il sindacato.

Tra i casi più eclatanti c'è infatti quello di un lavoratore rumeno, infortunato e costretto a non andare in ospedale. “Un nostro compagno era al campo base di Pieve Torina - hanno raccontato Daniel Taddei e Massimo De Luca, segretari generali di Camera del lavoro e Fillea Macerata -. Un operaio ci ha detto che c'era un infortunato in un container. Era rumeno, non aveva preso lo stipendio, non aveva un telefono e non parlava italiano. Lo avrebbero rimandato in Romania a breve, perché aveva la gamba ferita dopo una scivolata sul ghiaccio. Quando lo abbiamo intercettato erano già passate 9 ore”. Un altro caso documentato riguarda invece un operaio italiano: “Pure lui viveva al campo base. Da agosto fino a dicembre ha lavorato 10 ore al giorno, 6 giorni su 7, ma le ore dichiarate sono inferiori a quelle lavorate, ed è stato pagato tramite acconti molto al di sotto del contratto nazionale, non ha una busta paga. Pure a lui l’azienda ha chiesto di andarsene.”

Questi due casi e il processo che verrà gettano quindi una luce su quella che la Cgil, ormai da tempo, chiama la “giungla delle Sae”, fatta di manovali reclutati direttamente in Romania con la promessa di 50 euro al giorno che poi non ricevevano. “Nella ricostruzione ci sono iscritti al sindacato che lavorano nei cantieri e che non risultano da nessuna parte. Così come operai che non risultano al Centro per l’impiego e non si sa cosa hanno firmato pur avendo il tesserino della ditta”

I fatti risalgono all'inverno del 2017. I rinviati a giudizio sono il titolare della ditta Europa srl con sede a Melegnano (Mi) e un suo dipendente. L'azienda faceva parte del Consorzio Gips di Trento che aveva un subappalto del Consorzio Arcale per la fornitura e messa in opera delle Sae. Un intricato sistema di appalti costruito sui soldi pubblici della Protezione civile. Secondo l’accordo quadro per il lotto 2, quello firmato con il consorzio Arcale, non sarebbe possibile fare subappalti dei subappalti. E' invece possibile costituire delle reti di impresa anche dopo aver ottenuto il subappalto o subappaltare a cooperative. “Ed è qui che iniziano i problemi - ha detto Taddei – ci sono consorzi composti a loro volta da cooperative, che sono composte da partite Iva, cioè da soci lavoratori. E' impossibile quindi tracciarli. Mentre nella notifica preliminare per le reti di impresa, compare solo la capofila, le altre risultano solo nella visura camerale sotto forma di partita Iva o codici fiscali”.

Per questo, il rinvio a giudizio di ieri da parte del Gup è per il sindacato “una tappa importante”. Perché, ha detto ancora Daniel Taddei, “è stato anche riconosciuto l'impegno di Fillea e Cgil, che all'inizio erano state attaccate, accusandole che fossero tutte invenzioni”. In realtà, si tratta solo di un primo passo.

“La giustizia penale va però più veloce di quella amministrativa - ha spiegato Massimo De Luca - Dei 18 lavoratori che hanno avuto la forza di denunciare solo per 11 è stato possibile far riconoscere le giuste retribuzioni. Ci sono ancora 7 lavoratori di Europa srl che devono ancora essere pagati. L'accertamento dell'ispettorato del lavoro finora non ha portato a nulla. Ora guardiamo al futuro con ottimismo, grazie a tre conquiste ottenute nel frattempo: settimanale di cantiere, Durc di congruità e un protocollo di collaborazione firmato in Prefettura a Macerata che prevede la sperimentazione del badge elettronico. La nostra battaglia è anche nell'interesse delle aziende corrette, per evitare il dumping”.

“Sono molte le giungle nella ricostruzione - ha concluso Taddei -. A marzo ci sarà un'altra richiesta di rinvio a giudizio per altre ditte e altri lavoratori delle Sae. La realtà processuale si basa su elementi probatori, ma noi sappiamo che c'è un contesto di responsabilità che faremo emergere in questo primo filone. Le responsabilità, oltre a quelle degli imputati sono molte, politiche e di controllo. C'è stata l'emergenza, la fretta di fare, e si è creato un danno per tutta la collettività. Evidentemente il sistema non ha funzionato.