Dagli 80 ai 200 euro per rinnovare il permesso di soggiorno. Oltre al costo della marca da bollo (16 euro), della stampa del documento (27,50) e della spedizione postale (30). Nel 2011 lo Stato aveva introdotto per decreto questo ulteriore contributo a carico dei cittadini stranieri, che la Corte di Giustizia europea cinque anni dopo ha dichiarato sproporzionato, poiché rendeva economicamente difficoltoso l’accesso al regolare permesso di soggiorno. Quindi, è toccato al Tar del Lazio e al Consiglio di Stato annullare il decreto ministeriale che aveva disposto gli aumenti, riconoscendo che l’amministrazione avrebbe dovuto fissare nuovi importi proporzionati e non eccessivi e disciplinare la restituzione di quanto pagato in eccesso.

In questi anni, però, nonostante la condanna e le successive richieste di rimborso, l’Italia non ha mai restituito nulla. A Lecco 35 cittadini stranieri, assistiti dal Patronato Inca Cgil provinciale e dagli avvocati dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, hanno chiesto indietro il contributo pagato e agito in giudizio con una causa collettiva contro il ministero dell'Economia e delle finanze per far accertare la forma di discriminazione che avrebbero subito. E hanno avuto ragione.  Il tribunale di Lecco si è pronunciato favorevolmente e ha condannato il Mef a restituire ai ricorrenti le somme indebitamente richieste nel corso degli anni.

“Si tratta di una sentenza che risponde alle istanze presentate da molti migranti e che contrasta un'ingiustizia attuata nei confronti delle moltissime persone straniere che risiedono nel nostro territorio – si legge in una nota della Cgil Lecco e Lombardia -. Cercheremo di informare in modo più esteso i tanti che oggi si trovano ancora in queste condizioni, per aiutarli a recuperare quanto alla luce della sentenza risulta sborsato ingiustamente. Tutti i cittadini migranti presenti in Italia in quel periodo si sono visti richiedere un contributo non dovuto e la Cgil non lascerà nessuno da solo davanti a questa ingiustizia, soprattutto in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo”.

La sentenza è un precedente rilevante nella giurisprudenza italiana in materia di immigrazione, un risultato che si può estendere a tutto il territorio nazionale. “Un traguardo importante da un punto di vista tecnico, che è anche una rilevante indicazione sociale – concludono dalla Cgil -. Il Ministero è stato condannato perché ha discriminato, la sentenza dà ragione alla Cgil che ha osato là dove la politica è rimasta latitante”.