Celebrare la Giornata mondiale della salute mentale significa confermare l’impegno alla difesa della legge 180 e alla ferma e irriducibile difesa dei diritti delle persone con disabilità mentali. Non manchiamo di strategie globali, di piani d’azione, di linee guida... anzi ne abbiamo fin troppi. Quello di cui manchiamo è l’azione conseguente ossia, non siamo in grado di “fare la differenza”. L’Italia, come sovente rilevato dalle Oms,  malgrado un sistema di salute mentale avanzato non sfugge ad alcuni comuni ostacoli allo sviluppo di sistemi di salute mentale umani e costo-effettivi .

Il primo ostacolo è costituito dai determinanti sociali che permangono come potenti fattori di salute mentale carente. Fra di essi: le disuguaglianze sociali, la povertà assoluta e relativa, i bassi livelli educativi, gli effetti traumatici dei percorsi migratori e l’urbanizzazione rapida e incontrollata.

Il secondo ostacolo è rappresentato dal divario delle risorse che sono insufficienti, a fronte dell’impatto delle patologie psichiatriche che è aumentato di quasi il 50% negli ultimi 25 anni. La “Lancet Commission sulla Salute Mentale Globale” raccomanda un incremento del finanziamento per la salute mentale superiore al 10% del budget totale di salute nei paesi a alto reddito. Ma le risorse oltreché insufficienti sono anche utilizzate in maniera inefficiente perché ancora in grande misura concentrate nelle strutture ospedaliere o in quelle residenziali ove permane la logica del “letto” a  scapito di quella della “comunità”. E questo a causa della forte resistenza dei professionisti della salute mentale i cui interessi sono meglio serviti dalle istituzioni ospedaliere e a causa della redditività spesso opaca e privatistica delle strutture residenziali.

Questo squilibrio delle risorse, oltre che essere un indicatore di inefficienza della psichiatria territoriale, perpetua la permanenza del terzo e più inaccettabile ostacolo, ossia l’insufficiente investimento sia quantitativo sia  qualitativo nelle attività territoriali di salute mentale.

Infine, l’ultimo ostacolo è quello della drammatica indifferenza verso la questione morale. Infatti, malgrado l’esistenza della “Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità”, le persone con disturbi mentali o con disabilità intellettuale continuano ad essere fra le piú vulnerabili: stigmatizzate, discriminate, escluse, abbandonate, rinchiuse e spesso abusate.

 Le direzioni future del nostro impegno collettivo e individuale sono chiare:

  1. Adottare un modello che abbandoni l’egemonia del modello biomedico in favore di un modello di “sofferenza sociale” che implica risposte piú complesse e complessive;
  2. Abbandonare la concentrazione delle risorse sulla dimensione “letto”. Infatti, troppo poco rimane per investire in riabilitazione psicosociale o nella prevenzione del suicidio, dell’abuso di alcol o dei problemi di sviluppo del bambino e dell’adolescente;
  3. Agire sui determinanti sociali che devono divenire parte integrante delle strategie di intervento a livello individuale. Si tratta quindi di alleviare la povertà con interventi mirati di sostegno economico ai pazienti, di promuovere l’educazione per favorire inserzioni professionali e di promuovere l’Inclusione per arrestare il ciclo esclusione-sofferenza-malattia-internamento;
  4. Infine, e questa è la sfida più importante, rispondere alla urgente necessità di promuovere il coinvolgimento degli utenti nei processi decisionali.

Benedetto Saraceno è il segretario generale Lisbon Institute of Global Mental Health