Torna per la sua seconda edizione UnArchive Found Footage Fest, a Roma dal 28 maggio al 2 giugno 2024. Ideato e prodotto dall’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, in collaborazione con Archivio Luce - Cinecittà, con il patrocinio del MiC, è il primo festival interamente dedicato al riuso creativo delle immagini, diretto dai registi Alina Marazzi e Marco Bertozzi.

Alina Marazzi, questo festival è il frutto di una profonda riflessione sulla funzione degli archivi audiovisivi e cinematografici nel mondo contemporaneo. Ci racconta com’è nata l’idea?

Unarchive è un termine tecnico usato anche in information technology, che significa disarchiviare. L'idea del festival nasce proprio da un archivio storico, l'Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico che ha una bellissima sede in via Ostiense a Roma, dove si trovano materiali fotografici, repertori sonori, filmati originali in pellicola, ma anche in video che arrivano fino agli anni ‘90 e 2000. L’archivio nasce raccogliendo i materiali della casa di produzione Unitelefilm, di proprietà del Partito Comunista Italiano. Poi tra i fondatori ci fu anche Cesare Zavattini, che aveva una idea molto all'avanguardia di quello che doveva essere un archivio. Per esempio sono custoditi anche molti materiali sul G8 di Genova, girati dalle persone con le videocamere e poi consegnati all'archivio. Questo per dire che raccoglie materiali provenienti da diverse fonti non necessariamente istituzionali. Gli archivi sono depositi di un patrimonio sconfinato e però tendono un po' a essere dei luoghi chiusi, o essere percepiti come tali, quindi spesso non sono accessibili. A partire dagli anni dieci del 2000 è iniziato invece un processo di digitalizzazione dei materiali che vede coinvolte tutte le grandi istituzioni, tant'è che ora sono disponibili anche per chi vuole fare delle ricerche a scopo di studio, molti materiali sono accessibili on line. Quest’apertura ha permesso anche a molti autori di progettare di fare film a partire da altri film o da altri materiali già girati.

Alina Marazzi

Gli archivi non sono dei mausolei, insomma, ma piuttosto somigliano a dei musei diffusi.

Sì, il festival nasce proprio da questa idea, che era anche quella di Zavattini, di un archivio come luogo in continua trasformazione, dove la documentazione del passato rimane lì, ma non come documento intoccabile della storia. Questi materiali possono essere ricollocati, reinterpretati anche dalla prospettiva del presente, proprio per capire meglio il passato. Ma anche per smontare e decostruire tutte le sue rappresentazioni. Il titolo fa riferimento anche a questo mettere in dubbio e ricollocare questi materiali di found footage (immagini ritrovate) in contesti nuovi, con linguaggi cinematografici alternativi. L’operazione di risemantizzazione di quelle immagini e di quelle narrazioni è alla base di tutti i film che proponiamo nel nostro festival. Non si tratta solo di documentari storici a base di archivio, ma di film molto diversi. Si va dal cinema sperimentale più vicino alle arti visive e all'arte contemporanea a lungometraggi di matrice autobiografica sia privati che pubblici, per raccontare in prima persona delle storie collettive. Un genere che lascia libertà ampia, anche nel mescolare del girato ex novo con materiale del passato.

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Tra i materiali custoditi dall’Aamod ce ne sono molti che provengono dal sindacato e che raccontano il mondo del lavoro, offrendo la possibilità di ricostruire quei pezzi di storia contemporanea che non è ancora stata scritta. Persino tutto ciò che accade quasi nel tempo stesso in cui accade.

Molti materiali riguardano tantissimo il mondo del lavoro, raccontano un mondo che non c'è più e quindi anche delle identità che non esistono più. Ciò che colpisce sempre tantissimo quando si lavora con gli archivi è vedere quanto davvero le persone si identificassero fortemente con la propria identità professionale, sentendosi parte di una categoria, di una classe, mentre oggi questa cosa sappiamo non è più così. L’anno scorso il festival è stato visitato da un pubblico molto giovane di ragazzi che frequentano le scuole di cinema, le accademie, le università. Li abbiamo visti molto interessati a rivedere le immagini del passato, e dall’altro lato molti giovani giovani filmmaker hanno partecipato con i loro corti al concorso. Una generazione nata negli anni ’90 e 2000 che si è dimostrata molto interessata a riscoprire tutto quello che è venuto prima di loro. Mi viene da dire che questo festival abbia anche una funzione formativa, sia rispetto allo sguardo che ai contenuti. E c’è poi una riscoperta anche a livello proprio produttivo, oltre che artistico, di questo modo di fare cinema, di questo genere.

Un cinema giovane e anche ecosostenibile, si direbbe.

Ci piace pensare che sia un cinema che ricicla altro cinema. Quindi è anche ecologico, a basso impatto ambientale. Perché non va a produrre nuove immagini. Viviamo in un mondo che è soffocato dalla produzione di immagini. Questo invece è un cinema che va a utilizzare qualche cosa che esiste già, quindi da un lato è un cinema che riusa, e dall'altro è un cinema che potenzialmente potrebbe anche avere dei costi produttivi più bassi, cioè lo è nel momento in cui gli archivi entrano in co-produzione, quindi offrono gratuitamente i loro materiali. Chiaramente non lo è quando parliamo di spezzoni che devono essere acquistati da una produzione a caro prezzo.

Spesso si tratta di un cinema che utilizza girato mai usato, dando vita a quelle immagini rimaste “nel cassetto”.

I ragazzi impazziscono quando vedono delle immagini girate con supporti e tecnologie molto diverse da quelle contemporanee. Il festival è una vetrina per i lavori fatti dai più giovani, ma è anche una finestra su un panorama internazionale molto ricco e vario. Ci saranno documentari da ogni parte del mondo e nessun film è uguale a un altro, perché ogni cultura e ogni paese ha il suo modo peculiare di lavorare con gli archivi cinematografici e di fare i conti con la propria storia, con la propria identità, attraverso la rivisitazione dei materiali d'archivio. Ecco perché abbiamo fortemente voluto una panoramica internazionale.

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