Il 12 settembre del 1923, nel pieno divampare della dittatura fascista, Antonio Gramsci propone la fondazione de l’Unità attraverso una lettera nella quale prospetta non solo il nome - “l’Unità puro e semplice, che sarà un significato per gli operai e avrà un significato più generale”-, ma anche funzione e linea editoriale del quotidiano: “Dovrà essere un giornale di sinistradella sinistra operaia. Non è molto facile fissare tutto ciò in un programma scritto; ma l’importanza non è di fissare un programma scritto, è piuttosto nell’assicurare al partito stesso, che nel campo delle sinistre operaie ha storicamente una posizione dominante, una tribuna legale che permetta di giungere alle più larghe masse con continuità e sistematicamente”.

Dal primo numero alla clandestinità

Il 12 febbraio 1924 viene dato alle stampe a Milano, in Via Santa Maria alla Porta nei pressi di Corso Magenta, il primo numero del giornale. Dopo numerosi arresti, sequestri e irruzioni della polizia, nell’autunno 1926 il governo ne sospenderà ufficialmente le pubblicazioni e il 31 ottobre 1926 verrà pubblicato l’ultimo numero ufficiale del giornale. Il 27 agosto 1927, nella francese sede di Rue d’Austerlitz, sarà pubblicato il primo numero dell’edizione clandestina. 

Dal 1934 al 1939 la diffusione subisce una battuta d’arresto e diventa man mano meno intensa, ma con lo scoppio della guerra e la lotta nazifascista, il giornale prende nuova vita. Con l’arrivo degli alleati, dal 6 giugno 1944 riprende a Roma la pubblicazione ufficiale del giornale che uscirà dalla clandestinità, dopo quasi vent’anni, il 2 gennaio 1945.

Dopo la Liberazione

La redazione s’insedia a via IV Novembre. Nuovo direttore è il partigiano Velio Spano. Dopo la Liberazione, escono nel 1945 l’edizione genovese, quella milanese e quella torinese. Nei primi mesi del 1945 i responsabili dell’edizione di Torino del quotidiano sono Ludovico Geymonat e Amedeo Ugolini; tra i collaboratori del quotidiano ci sono Davide Lajolo, Ada Gobetti, Cesare Pavese, Italo Calvino, Elio Vittorini, Aldo Tortorella, Paolo Spriano, Luigi Cavallo, Augusto Monti, Massimo Mila, Raimondo Luraghi, Massimo Rendina, Raf Vallone, Armando Crispino.

Sul giornale negli anni scriveranno in tanti da Rodari a Pasolini, da Calvino a Moravia, da Natalia Ginzburg a Sibilla Aleramo.

Ne l’Unità, scriveva nel febbraio 2018 Pietro Spataro “corre la storia del Novecento: il fascismo e il nazismo, le violenze e l’Olocausto, la clandestinità, la morte di Gramsci, la Resistenza, l’Italia repubblicana, la Russia sovietica, le battaglie degli anni Sessanta, i grandi balzi in avanti degli anni Settanta, il terrorismo, l’arrivo di Enrico Berlinguer e lo strappo da Mosca, la sua morte a Padova, il crollo del muro di Berlino, lo scioglimento del Pci e la nascita dell’Ulivo e poi quella travagliata del Pd. l’Unità ha attraversato tutte queste fasi, nel bene e nel male. È stato un giornale nazionale, uno strumento di battaglia politica, un binocolo attraverso il quale guardare il mondo, un dizionario dei conflitti sociali, un orgoglioso status symbol”.

L’Unità - raccontava Pietro Ingrao - dai lettori veniva conservata. E si poteva leggere all’alba, ancora assonnati, sul seggiolino di un autobus, oppure a tarda sera, tra un boccone e l’altro della cena prima di andare alla riunione di sezione, o anche a letto, sull’orlo del sonno. Oppure mettere da parte, conservare questo o quel numero, che poi non sarebbe stato letto mai, dimenticato tra i fasci di carte di un armadio: questa natura curiosa di un giornale quotidiano, che durava al di là del giorno”.  

Fine delle stampe

Un giornale che però non sopravviverà ai tanti errori di chi avrebbe dovuto difenderlo e preservarlo. Dopo più di 90 anni di storia, nell’estate del 2017, viene dato alle stampe il suo ultimo numero.

“Ci sono storie - recita l’ultimo editoriale, firmato dall’assemblea della redazione - che non dovrebbero finire, per la storia che hanno raccontato e testimoniato, per quella che hanno cercato di capire, per chi ci ha creduto, per chi ci ha messo passione, professionalità e attaccamento. Questa storia, la nostra, hanno deciso di chiuderla nel modo peggiore, calpestando diritti, calpestando lo stesso nome che porta questa testata, ciò che ha rappresentato e ciò che avrebbe potuto rappresentare”.

“Domani l’ultimo numero”, scriveva il direttore: “Oggi invece troverete soltanto pagine bianche: sono pagine di protesta, ovviamente, ma soprattutto di allarme. Per spiegare, senza troppi giri di parole, come sarà il mondo dell'informazione senza la voce l’Unità”.