Ci sono delle storie che ci chiamano dal passato, perché per qualche ragione devono tornare nel presente. Così, quella delle Officine Reggiane, oggi archeologia industriale, ma simbolo potente della forza della classe operaia. A loro è dedicato un bel documentario. A loro e
La Vacca di Ferro
“La Vac ad Fer”, “La vacca di ferro” lo chiamavano i metalmezzadri della Val Padana, con un’espressione che riusciva immediatamente a comunicare il senso di cosa volesse dire per quel territorio, e quegli anni, l’incontro tra le braccia dei contadini e le macchine. Una vera e propria rivoluzione per dimezzare la fatica, che però in quel momento storico significava molto di più. Lo racconta bene nel documentario Patrizio Roversi, che incontra sindacalisti ed ex operai delle Reggiane, ma soprattutto alcuni dei protagonisti di quella rivoluzione. C’è il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, c’è il segretario generale della Cgil di Reggio Emilia, Cristian Sesena. Ma soprattutto, c’è Giacomina Castagnetti, scomparsa poco dopo le riprese: staffetta partigiana a poco più di undici anni, operaia, sindacalista, è lei che guida il trattore durante l’occupazione. Dalla sua storia emerge con chiarezza come quelle tre esperienze, la lotta partigiana, il lavoro in fabbrica e l’impegno nel sindacato, fossero state indissolubili non solo per lei, ma per tanti altri.
Il sostegno della Cgil
Il documentario è stato realizzato anche grazie al sostegno della Cgil di Reggio Emilia, che ha fornito i preziosi materiali dell’Archivio storico (video interviste, fotografie, stampa e documenti) e ricostruisce la ricerca, da parte di Patrizio Roversi, dei tre esemplari del trattore R60 prodotti durante l'occupazione delle Reggiane, la più lunga della storia del movimento operaio italiano.
La nascita delle Reggiane
Le Officine Reggiane nascono nei primi anni del Novecento per essere destinate alla produzione ferroviaria, tuttavia quasi subito riconvertita a fini bellici. Durante la seconda guerra mondiale vengono prese sotto il controllo dei fascisti, in quanto azienda strategica militare. E se il 25 luglio 1943 è il grande giorno della caduta del regime, tre giorni dopo, il 28, sarà quello dell’eccidio alle Reggiane. Nove operai, fra i quali una donna incinta, vengono uccisi nel corso di una manifestazione per chiedere la fine della guerra.
La grande occupazione: dalle armi ai trattori
Nel 1950, a fronte di un piano di 2100 licenziamenti, inizia la più lunga occupazione di una fabbrica da parte degli operai della storia italiana: 365 giorni. Un anno esatto, durante il quale proprio gli operai progettano l’R60, per dimostrare che l’azienda avrebbe potuto puntare a riconvertire la produzione da bellica a quella di macchinari per l’agricoltura. Nel suo documentario Roversi ripercorre quelle vicende e, in una sorta di caccia al tesoro, prova a recuperare le tracce del mitico trattore, che sembra scomparso nel nulla.
Che fine ha fatto l’R60?
La fine è in sospeso, lasciando intendere che la ricerca continua. Ma la forza del racconto sta nel rivelare un pezzo di storia davvero unico nel suo genere. I trattori sfilarono per le strade di Reggio il 27 giugno 1951, poi se ne persero le tracce. Ma la memoria di quelle giornate è ancora forte in quel territorio, così come nella mente e nel cuore dei suoi protagonisti reggiani, incontrati da Roversi nel documentario. Un racconto dal passato che suona come un monito sul presente, sulla necessità di mettere fiori, pane, beni di consumo nei propri cannoni. Sull’imperativo categorico di opporsi, oggi come ieri, al riarmo. Di rifiutare qualsiasi incentivo alla produzione bellica rispetto a quella civile. Ma soprattutto, la rappresentazione plastica di come lavoratrici e lavoratori siano stati – e possano continuare ad essere – l’avanguardia delle battaglie sociali e di civiltà, nonché della mobilitazioni a sostegno della pace.