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Sono trascorsi 69 anni dalla più grave tragedia mineraria della storia italiana all’estero. Ma il ricordo del disastro di Marcinelle, in Belgio, non smette di far male. L’8 agosto 1956, nella miniera di carbone del Bois du Cazier, persero la vita 262 lavoratori, di cui ben 136 italiani, emigrati per sfuggire alla miseria dell’Italia del dopoguerra. Solo 13 uomini furono estratti vivi, mentre 17 corpi, sepolti nel sacrario che oggi sorge nel sito della miniera, non sono mai stati identificati.
Quell’8 agosto è oggi celebrato come Giornata del sacrificio del lavoro italiano nel mondo, una data simbolica non solo per onorare i connazionali caduti in terra straniera, ma anche per non dimenticare il prezzo pagato da chi, con il proprio lavoro, cercava dignità e sopravvivenza fuori dai confini nazionali. Oltre agli italiani, morirono 95 belgi, 8 polacchi, 6 greci, 5 tedeschi, 5 francesi, 3 ungheresi, e un lavoratore per ciascuna di queste nazionalità: inglese, olandese, russo e ucraino.
Il disastro fu causato da un concatenarsi di errori tecnici e condizioni strutturali disastrose: un vagoncino mal agganciato si incastrò in ascensore, provocando una collisione con una putrella che spezzò tubazioni d’olio ad alta pressione, cavi elettrici e condotte d’aria compressa. L’incendio che ne seguì rese la miniera un inferno. Le fiamme e il fumo non lasciarono scampo a chi si trovava nei cunicoli a quasi 1000 metri di profondità.
“Custodire la memoria di coloro che morirono nelle viscere della terra per tenere vivo il ricordo e fare in modo che la tragedia di Marcinelle ci esorti ancora perché ancora oggi il lavoro è sfruttato e ancora oggi si continua a morire sul lavoro”, ha detto la segretaria confederale della Cgil Daniela Barbaresi, presente alla commemorazione presso la miniera di Bois du Cazier.
"Dall’inizio dell’anno in Italia sono morti 873 lavoratori e lavoratrici, uno ogni 6 ore – ha ricordato Barbaresi – Lavoratori che continuano a morire come si moriva 70 anni fa, cadendo dall’alto, soffocati, schiacciati, per macchinari senza protezioni. Si muore di caldo, nei campi o nei cantieri, quando le temperature superano i 40 gradi, come nelle miniere. Si muore dove si lavora male, dove il lavoro è povero, precario, sfruttato, svalorizzato e senza tutele. Ma i morti sul lavoro non sono solo numeri. Quei numeri sono persone, drammi, dolore, famiglie che soffrono, ingiustizie che si consumano. E’ una tragedia che deve essere fermata”, ha sottolineato.
L’incidente di Marcinelle si inserisce in un quadro storico più ampio e doloroso. Dopo la Seconda guerra mondiale, il Belgio aveva bisogno di manodopera per riavviare l’industria carbonifera. L’Italia, alle prese con la ricostruzione e con la disoccupazione dilagante, firmò nel 1946 un accordo che prevedeva l’invio di 50.000 lavoratori in cambio di carbone a prezzo agevolato. Una manovra geopolitica mascherata da cooperazione, che di fatto esportava braccia in cambio di combustibile.
Ma ciò che trovarono gli emigrati italiani non fu lavoro dignitoso, bensì sfruttamento e condizioni di vita miserevoli. Alloggiati in baracche umide e invivibili, chiamate “cantines”, spesso segregati per origine nazionale, gli italiani erano emarginati, guardati con diffidenza e sottoposti a discriminazioni apertamente dichiarate: davanti alle case da affittare comparivano scritte come “ni animaux, ni étrangers” — né animali né stranieri.
Anche le condizioni in miniera erano proibitive. Tra il 1946 e il 1955, quasi 500 lavoratori italiani morirono nelle miniere belghe, senza contare il numero imprecisato di vittime silenziose della silicosi e di altre malattie professionali.
A Marcinelle, ha evidenziato Daniela Barbaresi, c’è la storia dell’Europa: “L’Europa che vogliamo è l’Europa dei diritti, del valore del lavoro, delle persone che vengono prima dei profitti. E’ l’Europa della giustizia sociale, del Pilastro europeo dei diritti sociali, della solidarietà e dell’accoglienza di chi arriva da altri Paesi nella speranza di costruire un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. Per chi arriva oggi come chi emigrava 70 anni fa, fuggendo dalla miseria, dalla fame o dalla guerra. L’Europa che vogliamo è l’Europa della pace, la pace agognata da troppo tempo in troppi luoghi, dall’Ucraina a Gaza, dove si sta consumando lo sterminio di un popolo sotto le bombe, i proiettili e la fame”.
Ricordare Marcinelle, oggi, non è solo un atto di memoria storica. È un monito ancora attuale. Perché, nonostante i progressi tecnologici e normativi, si continua a morire di lavoro: “Questa miniera è simbolo della fatica, del lavoro disumano, pericoloso, sfruttato ma anche delle lotte sindacali per i diritti e la sicurezza sul lavoro” ha specificato la segretaria confederale.
E perché quella pagina di storia ci riguarda da vicino, come Paese di emigranti ieri e di frontiera oggi: la sorte degli italiani nel Belgio degli anni Cinquanta richiama, con sconcertante simmetria, quella di tanti migranti che oggi affrontano il Mediterraneo per un futuro diverso, spesso trovando sfruttamento, razzismo e morte. Per questo, ha concluso Barbaresi, “di fronte ai processi migratori la risposta deve essere quella dell’inclusione, dell’accoglienza, dell’integrazione. Oggi siamo tornati nei luoghi della tragedia per onorare le vittime, e per ribadire che vogliamo un’Europa dei diritti, di lavoro dignitoso e salario giusto. Un’Europa dell’uguaglianza, della solidarietà, della democrazia e della pace”.