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Il licenziamento della maschera che ha gridato "Palestina Libera" è illegittimo e il Teatro alla Scala è stato condannato dal Tribunale del Lavoro a risarcire alla lavoratrice le mensilità maturate e a coprire le spese processuali.
La vicenda risale al 4 maggio quando, pochi minuti prima dell’inizio di un concerto, la giovane maschera si affacciò da un palchetto urlando “Palestina Libera” e tentando di srotolare uno striscione a sostegno della causa. Proprio in quel momento, in sala, era entrata sul palco reale la premier Giorgia Meloni.
"Bene che si sia conclusa così la vicenda – osserva Paolo Puglisi, segretario generale della Slc Cgil Milano – a conferma di quanto la nostra categoria aveva affermato nell’immediato: il fatto non sussisteva”. Pochi giorni dopo, infatti, la Slc Cgil aveva chiesto ai vertici della Scala di ritirare il licenziamento e convertirlo in un provvedimento conservativo.
Tuttavia, il teatro aveva deciso di tirare dritto, contestando alla giovane maschera di aver tradito la fiducia disobbedendo a ordini di servizio. Una violazione quindi del contratto, con abbandono del posto di lavoro che le era stato assegnato in sala.
Il gesto ha portato prima all'espulsione della giovane e poi al suo licenziamento. Successivamente la studentessa lavoratrice, con il sostegno dei Cub, aveva presentato ricorso alla sezione Lavoro del Tribunale di Milano, con un processo che si è aperto il 24 settembre.
Oggi la sentenza: La Scala dovrà risarcire la lavoratrice perché il licenziamento è stato illegittimo. “Lo avevamo detto subito, ma il Teatro non ha voluto sentire ragioni – conclude Puglisi – ora sarebbe interessante capire se si provvederà a una richiesta di reintegro. La nostra posizione, come organizzazione sindacale, è che il risarcimento non è sufficiente”.
























