Considerato da molti critici musicali uno dei più importanti e influenti cantautori italiani, Fabrizio De André è conosciuto anche con l’appellativo di Faber che gli dette l’amico Paolo Villaggio con riferimento alla sua predilezione per i pastelli e le matite della Faber-Castell oltre che per l’assonanza con il suo nome.

Il "poeta degli sconfitti" ha inciso quattordici album in studio, più alcune canzoni pubblicate solo come singoli e poi riedite in antologie considerate da alcuni critici vere e proprie poesie, tanto da essere inserite in varie antologie scolastiche di letteratura già dai primi anni Settanta.

Dal 1969 al 1979 verrà spiato dai servizi segreti italiani. “La notizia l’avevamo scoperta negli anni Novanta”, racconterà la compagna Dori Ghezzi, “ma non conoscevo i dettagli, sapevo che avevano trovato queste carte, e mi ricordo che quando venimmo a saperlo eravamo con Ivano Fossati e commentammo insieme l’assurdità di questa notizia, il modo in cui venivano gestiti alcuni settori dei corpi dello Stato”.

“Io spero - diceva lo stesso cantautore mai pubblicamente politicamente schieratosi se non occasionalmente con i radicali per appoggiare la campagna in favore del divorzio - che al massimo attraverso le canzoni possa risvegliare in qualcuno la consapevolezza dei propri diritti, ma io non mi metterei a capo di nessuno, non saprei dove condurli, e se per questo non credo che mi piacerebbe essere condotto da nessuna parte”.

Nel 1979, proprio insieme a Dori Ghezzi, De André sarà rapito in Sardegna. Saranno rilasciati dietro pagamento di un riscatto di oltre 500 milioni di lire dopo quattro mesi di prigionia.

Così una volta liberati i due racconteranno il loro rapimento: “Fummo presi e fatti scendere al piano terra dopo averci fatto calzare scarpe chiuse e portato con noi alcune paia di calze. Ci fecero uscire dal retro della casa e fatti sedere sulla nostra macchina, una Citroen Diane 6, targata Milano. (…) Scendemmo definitivamente dalla macchina e iniziammo il tragitto a piedi per la campagna che alternava tratti scoscesi a tratti pianeggianti e poi ripidi, tra cespugli e rovi, con la testa incappucciata. Camminammo per circa due ore. Dopo una sosta di riposo, riprendemmo il trasferimento in percorsi ancora più accidentati, camminando per qualche ora ancora. Dopo di che, sfiniti, ci fermammo, trascorrendo la notte all’addiaccio. Il cammino riprese il giorno successivo, percorrendo un tragitto interamente in salita, fino all’imbrunire. Raggiunta la destinazione, per la prima volta ci tolsero le maschere e alla nostra vista si presenta la sagoma di un bandito incappucciato. Apprendemmo che si trattava di uno dei nostri custodi, che ci accompagnerà per tutta la prigionia e che Fabrizio battezzerà col nome 'il rospo' per via della sua voce gracchiante”.

Faber morirà a 58 anni nella notte tra il 10 e l’11 gennaio 1999 all’Istituto dei tumori di Milano. Se ne andrà  in una notte d’inverno, come aveva cantato. “Ninetta mia, a crepare di maggio ci vuole tanto, troppo coraggio. Ninetta bella, dritto all’inferno, avrei preferito andarci in inverno”.

I funerali si terranno nella Basilica di Santa Maria Assunta di Carignano a Genova, due giorni dopo il decesso. Vi parteciperanno oltre diecimila persone. Sulla bara un pacchetto di sigarette, una sciarpa del Genoa, alcuni biglietti, un naso da clown e un drappo blu. Il suo corpo verrà cremato il giorno dopo la cerimonia, e le sue ceneri saranno disperse nel mar Ligure. La cerimonia funebre durerà poco più di un’ora e all’uscita della bara dalla Basilica verrà eseguita la sua Ave Maria sarda.

Vicino alla moglie e ai figli diecimila persone, famose o meno: Paolo Villaggio (“Io ho avuto per la prima volta il sospetto - dirà - che quel funerale, di quel tipo, con quell’emozione, con quella partecipazione di tutti non l’avrei mai avuto e a lui l’avrei detto. Gli avrei detto: «Guarda che ho avuto invidia, per la prima volta, di un funerale»), Beppe Grillo, Vasco Rossi, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia, Roberto Vecchioni. E soprattutto gente comune di ogni età e censo.

Quando si muore si muore soli, faceva dire Fabrizio dall’aldilà al beffardo protagonista de Il testamento. Ma Faber solo non lo era davvero. “Se ne è andato serenamente dopo avere lottato come un guerriero - dirà il figlio Cristiano, al suo fianco fino alla fine insieme alla compagna di Fabrizio, Dori Ghezzi, e la figlia Luvi - Gli eravamo accanto, gli stringevamo le mani”.

“Era intelligente - così lo ricorderà Paolo Villaggio - geniale, allegro, spiritoso, squinternato, un po’ vanitoso, snob: non era triste, come voleva l’immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta. Io e Faber siamo cresciuti insieme. Eravamo tutti e due squinternati, entrambi pecore nere delle rispettive famiglie. Fra noi liti selvagge, bastonature e poi, un po’ più grandi, la fama insieme, molte speranze, quasi convinti di non farcela”.

Uno “spartiacque fondamentale” nella musica italiana lo definirà Renzo Arbore, “il primo a coniugare felicemente la semplicità della musica popolare con la raffinatezza dei testi”. “Si chiedono alle persone note parole che servano a consolare la gente ma io sono tra quei tantissimi che hanno bisogno di essere consolati”, aggiungerà un visibilmente commosso Fabio Fazio.

“Un padre ispiratore”, nelle parole di Gianna Nannini, che tanto delle donne ha cantato. Figure femminili descritte - sia che si tratti di prostitute che di sante - sempre con amore e con rispetto. Quel rispetto che si deve a “chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione”. “Ci hanno insegnato - cantava Faber - la meraviglia verso la gente che ruba il pane, ora sappiamo che è un delitto il non rubare quando si ha fame”.

“Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno non si guardò neppure intorno ma versò il vino e spezzò il pane per chi diceva ho sete e ho fame”. “Ho letto Benedetto Croce - era solito raccontare - l’Estetica, dove dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti: dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante”.