In questi giorni della seconda metà di agosto, la scuola è ancora semideserta. I collaboratori scolastici, quelli che una volta chiamavamo bidelli, predispongono aule e classi per l’anno che sta per cominciare. Gli uffici di segreteria lavorano a pieno ritmo; ci sono da registrare i nuovi iscritti, gli studenti che decidono all’ultimo di cambiare scuola, gli elenchi dei libri di testo per i ragazzi delle prime, l’organico dei docenti che a breve prenderanno servizio. È curioso osservare come la burocrazia si sia misteriosamente moltiplicata nell’epoca della sospirata autonomia.

La condivisione verso una scuola più responsabile, flessibile, capace di rispondere meglio alle attese di giovani e famiglie era stata ampia ma nessuno avrebbe potuto prevedere una sorta di vendetta della burocrazia. Sconfitta e ridotta dalle leggi Bassanini, la burocrazia sarebbe tornata all’attacco a suo modo; silenziosamente, subdolamente, nascosta tra inutili e continui monitoraggi ministeriali, amplificata da una normativa secondaria incessante e opprimente, gonfiata e dilatata troppo spesso da presidi insicuri che ricercano nella riproduzione burocratica una sicurezza che non c’è, forse, innanzitutto in loro stessi.

Filippo e Sandro sono due docenti che si incontrano pur avendo percorsi diversi. Filippo è giunto al termine della sua carriera; ha raggiunto i quaranta anni di servizio e si prepara al suo ultimo anno di attività, mentre Sandro è fresco di nomina e ancora fatica a rendersi conto, in tempi di tagli del personale, della buona sorte che lo ha toccato.

Sandro è laureato in Matematica, Filippo è laureato in Lettere e da tanti anni anima una prestigiosa sezione del liceo. È il docente che avremmo voluto tutti, per noi, per i nostri figli: colto, competente, con una cultura non scolastica, bensì profonda, che lascia intuire senza difficoltà una vita civile impegnata. È una persona solare, con un sorriso contagioso che il tempo non ha sconfitto; esigente e comprensivo, autorevole e paziente. Gli studenti lo amano perché sanno che di lui ci si può fidare: ti obbliga a lavorare duro, esige un comportamento responsabile e nello stesso tempo pratica incessantemente il dialogo, la ricerca, la scoperta. Sandro ha pochi mesi di supplenze sulle spalle; sa quanto sarà difficile insegnare Matematica e Fisica coinvolgendo gli studenti, suscitando qualche interesse, ma ha una gran voglia di misurarsi fino in fondo. L’amicizia con Filippo è stata per lui preziosa ancor prima di insegnare. Lo aveva incontrato in una riunione di zona promossa dalla CGIL e ne aveva subito colto lo spessore, la passione, il carisma. Sandro lo aveva avvicinato per approfondire alcune questioni sindacali, ma Filippo aveva risposto con un sorriso: «Guarda, la CGIL è il mio sindacato, e non ho mai avuto dubbi in proposito, ma francamente non mi occupo molto di questioni sindacali; è un limite, lo ammetto, ma sono troppo preso da altre cose». Sandro invece si era gettato con interesse dentro quel reticolo di norme e procedure che riempiono il contratto di categoria. Ora, a scuola, Filippo illustrava a Sandro l’importanza di quei primi giorni di attività a settembre: è il tempo delle riunioni di dipartimento, dei gruppi di lavoro, della progettazione didattica.

«È un momento cruciale», precisa Filippo, «perché poi durante l’anno il tempo degli incontri è decisamente poco e allora bisogna lavorare bene adesso». «Certo, bisogna programmare bene l’uso delle ottanta ore, altrimenti…», risponde Sandro mentre coglie un leggero sorriso sul volto di Filippo. «Già, ottanta ore, chissà se prima o poi capirò questo mistero. Vedi, ci sono cose che non discutiamo neanche, quasi fossero intoccabili, sacre. E io provo in queste circostanze un immenso rammarico. È come se noi insegnanti scegliessimo il silenzio quasi per timore che, iniziando a parlare fossimo prima o poi costretti a cambiare qualcosa». «Non capisco…», sussurra Sandro, «prosegui nel tuo ragionamento».

«Vedi», riprende Filippo, «noi concludiamo l’anno ai primi di giugno. Poi certo ci sono gli esami di Stato che riguardano parte dei docenti delle terze medie, una parte dei docenti delle scuole superiori e che sono retribuiti a parte; poi si riprende il primo settembre ma solo per un po’ di ore. Perché? Siamo retribuiti per intero e certamente non possiamo lamentarci per il nostro calendario di lavoro, ma fino all’inizio delle lezioni non facciamo neppure l’equivalente dell’orario cattedra. Sai quanto si riuscirebbe a fare con un orario pieno per la progettazione didattica, per affinare metodi e criteri di valutazione, approntare materiale didattico, lavorare per dipartimenti. Eppure non se ne parla nemmeno». «Va bene, Filippo, ma il nostro contratto…». «Guarda Sandro, io sono davvero contento che tu ti impegni nel sindacato. Fallo, fallo con passione, perché non ci sarà cambiamento della scuola senza il contributo del sindacato. Partecipa, lavora, aiuta il nostro sindacato a crescere, a superare un’idea vecchia di pubblico impiego, a sconfiggere non solo i provvedimenti del governo ma anche la dura eredità corporativa che ci trasciniamo dalla nostra storia. Io credo nel valore della contrattazione. Pensa al ruolo straordinario del movimento sindacale in questo Paese. Che cosa ne sarebbe stato della democrazia in questo Paese senza la CGIL, senza il sindacalismo confederale? Pensa al diritto del lavoro, alle conquiste contro un padronato talvolta ottuso e una borghesia miope. Quando spiego il Novecento ai nostri ragazzi non risparmio mai l’approfondimento sul sindacato e sul contributo di uomini straordinari come Giuseppe Di Vittorio. Pensa alle lotte operaie nelle fabbriche per un salario dignitoso, ma soprattutto per un lavoro dignitoso. Il lavoro, questa è stata la grande conquista del sindacato: il lavoro non come condanna, fatica, ma come realizzazione della persona. Un lavoro che viene riconsegnato al primato della persona cui viene riconosciuto il diritto di conoscere il lavoro, organizzarlo, cambiarlo, renderlo non solo più produttivo per l’azienda ma più significativo per se stessi; ma siamo sicuri che questa sia la realtà della contrattazione nella scuola? Se io penso a un’attività piena nei primi giorni di settembre, non lo dico per far contento il ministro di turno ma perché questa è una mia esigenza di far bene il mio lavoro».