Quando veniva chiamato maestro, Andrea Camilleri rispondeva: “Solo Sciascia può essere chiamato così. Lui maestro lo era davvero”.  Leonardo Sciascia muore a Palermo il 20 novembre 1989. Scrittore, giornalista, saggista, drammaturgo, poeta, critico d’arte, insegnante è anche un uomo politico: alle elezioni comunali del capoluogo siciliano, nel giugno 1975, lo scrittore si candida come indipendente nelle liste del Pci. Viene eletto con un forte numero di preferenze, ottenendo il secondo posto dopo Achille Occhetto, segretario regionale, e davanti a un altro illustre candidato, Renato Guttuso. Si dimette dal partito pochi anni dopo. Eletto deputato nella fila dei radicali nel 1979, manterrà la carica fino al 1983 occupandosi dei lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.

Scriveva Emanuele Macaluso il giorno successivo alla morte dello scrittore:

Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato presto. Avevo visto Leonardo l’ultima volta, a casa sua, dieci giorni fa e l’ombra cupa della morte lambiva un uomo vivissimo, lucido, con una mente vigorosa e un’aggressività critica intatta. Con me c’era Antonello Trombadori, l’amico più caro degli ultimi anni, e quando ci ha visti ha avuto un momento di intensa commozione, singhiozzando. Alcune settimane addietro ero andato a trovarlo a Milano: avevo notato la stessa commozione, ma c’era, in lui, ancora la speranza di vincere il male, di continuare a combattere anche se veniva sempre meno la fiducia nei medici e nelle medicine. A Palermo, nella sua casa, con tutti i suoi cari e le sue cose, forse avvertiva più acutamente un distacco ormai inevitabile. Stentava ad alzarsi dalla poltrona, faticava nel fare ogni movimento essenziale e ci disse che ormai era stanco e non ce la faceva a continuare. Ma voleva continuare. Continuare a vivere, a comunicare, a parlare, a raccontare. Aveva ancora tante cose da dire.

(…) Ho conosciuto Leonardo Sciascia esattamente cinquant’anni fa, a Caltanissetta. Lui frequentava l’Istituto magistrale, dove insegnava Vitaliano Brancati, ed era amico di Gino Cortese, il quale mi aveva introdotto nel giro dei suoi amici letterati. Io, che ero più giovane, studiavo invece all’Istituto tecnico minerario con il fratello di Leonardo, Salvatore. Da quegli anni il mio rapporto con Sciascia è stato continuo e forte: prima nella comune lotta al fascismo e poi nella Sicilia che lui ha raccontato in pagine indimenticabili. Un rapporto, dicevo, forte ma anche conflittuale, segnato da polemiche e da amicizie crescenti.

Anche il suo rapporto con il Pci è stato di incontro e scontro, anche duro. Con Berlinguer, la polemica finì in tribunale. (…) con l’opera di Sciascia tutti hanno dovuto fare i conti, quelli che, come noi, sono stati interlocutori attenti e coloro che si sono sempre distratti, che hanno fatto finta di niente. Perciò oggi più degli altri sentiamo un vuoto, avvertiamo che vengono a mancare una voce forte e una coscienza onesta che per tanti anni hanno stimolato la nostra intelligenza e arricchito il nostro sapere. Oggi avverto che mi viene a mancare una sponda nella vita. Non esagero se vi dico che mi sento più solo. E con me tanti altri.

Quasi 30 anni più tardi, sempre il 20 novembre (del 2020) Macaluso scriveva su Facebook il suo ultimo post pubblico. “Essere di sinistra - affermava - ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena”. Em. Ma. morirà esattamente due mesi dopo, il 19 gennaio 2021, andandosene nell’anno del centenario del Pci.

Macaluso, affermava il giorno dei funerali Peppe Provenzano, “ha avuto una gran vita, vittorie e sconfitte, grandi amori e grandissimi dolori. È stato generoso nel raccontarli. Alcuni, li ha solo confidati. Oggi lo piange la famiglia (…) Lo piangono i compagni, gli amici di una vita, quelli che il 21 marzo non sapranno come festeggiare l’arrivo della primavera, tutti coloro che lo considerano un maestro. Per me è stato come un padre. Un padre in una Patria sempre più povera di padri. Ma non si resta orfani di padri come lui. Noi non siamo orfani. Una storia così, dallo zolfo alle stelle, è una storia che non muore”.

Una storia che è anche la nostra e che onoreremo, giorno per giorno, con la consapevolezza di servire una causa grande, una causa giusta. Perché “Essere di sinistra ha avuto un senso perché ha migliorato la vita a milioni e milioni di persone. Ne è valsa la pena”. Ne vale la pena.