Il 1938 sarà un anno tragico per la Germania e non solo, caratterizzato dal dilagare dell’antisemitismo, dall’annessione dell’Austria, dall’inizio dello smembramento della Cecoslovacchia, dal ripetersi delle pretese naziste su altri territori europei, rivendicati perché abitati anche da persone di lingua tedesca. Anche per l’Italia il 1938 è un anno orribile. L’anno della grande vergogna. L’anno delle "leggi razziali".

Le leggi razziali

Al Regio decreto legge del 5 settembre 1938 che fissava Provvedimenti per la difesa della razza nella scuola fascista e a quello del 7 settembre che fissava Provvedimenti nei confronti degli ebrei stranieri fa seguito il 6 ottobre una Dichiarazione sulla razza emessa dal Gran consiglio del fascismo. Tale dichiarazione, pubblicata sul foglio d’ordine del Partito nazionale fascista il 26 ottobre 1938, verrà successivamente adottata dallo Stato sempre con un Regio decreto legge che porterà la data del 17 novembre dello stesso anno.

Il Regio decreto legge n. 1728 - Provvedimenti per la difesa della razza italiana - stabilisce il divieto di matrimoni misti tra ebrei e cittadini italiani di razza ariana. E’ anche proibito prestare servizio militare o come domestici presso famiglie non ebree, possedere aziende con più di cento dipendenti, essere proprietari di terreni o immobili oltre un certo valore, essere dipendenti di amministrazioni, enti o istituti pubblici, banche d'interesse nazionale o imprese private di assicurazione.

Con la Disciplina dell’esercizio delle professioni da parte di cittadini di razza ebraica del 29 giugno del 1939 verranno imposte limitazioni e divieti anche all’esercizio della professione di giornalista, medico-chirurgo, farmacista, veterinario, ostetrica, avvocato, procuratore, patrocinatore legale, esercente in economia e commercio, ragioniere, ingegnere, architetto, chimico, agronomo, geometra, perito agrario e perito industriale. 

Seguirà l’espulsione totale degli ebrei dall’esercito, il divieto di pubblicazione e rappresentazione di libri, testi, musiche ebree, il divieto di iscrizione nelle liste di collocamento al lavoro.

La testimonianza di Liliana Segre

 Con le leggi razziali divenni invisibile - tristemente raccontava Liliana Segre - Un giorno di settembre del 1938 sono diventata l’altra. So che quando le mie amiche parlano di me aggiungono sempre “la mia amica ebrea”. E quel giorno a otto anni non sono più potuta andare a scuola. Ero a tavola con mio papa e i nonni e mi dissero che ero stata espulsa. Chiesi perché, ricordo gli sguardi dei miei, mi risposero perché siamo ebrei, ci sono delle nuove leggi e gli ebrei non possono fare più una serie di cose. Se qualcuno legge a fondo le leggi razziali fasciste, una delle cose più crudeli è stato far sentire invisibili i bambini. Molti miei compagni non si accorsero che il mio banco era vuoto. (…) Ad Auschwitz ero solo il numero 75190. (…) Era una città: era una città del dolore, una città di 60.000 donne che entravano e uscivano tra quelle che andavano a morte e le nuove arrivate. Trentuno ragazze, italiane - non conoscevo nessuna di loro e solo la lingua ci univa in quel momento - entrai con loro e vidi quella serie infinita di baracche, la neve grigia, in fondo una ciminiera che sputava fuoco, intorno il triplo filo spinato elettrificato… E poi le sentinelle, e donne, donne scheletrite, testa rasata, vestite a righe, picchiate, in ginocchio, portavano pesi… "Ma dove siamo entrate?". Era una scena apocalittica. Noi, scese due ore prima da quel treno, ci guardavamo intorno, ma nessuno più ci avrebbe sussurrato: "Tesoro. Amore". "Ma dove siamo arrivate?". "Che cos’è questo posto incredibile?". "Siamo vittime di un incubo, di un’allucinazione… Non può essere che esista un posto di questo genere…". Sì, esisteva (…) Erano stati realizzati questi campi già da tempo, molto ben organizzati, molto ben preparati per far soffrire e morire: quello era il fine.

Questo era il fine. Riflettiamo su queste parole anche oggi, soprattutto oggi. Un oggi nel quale al grido di "libertà" si assaltano le sedi sindacali, al grido di "sicurezza" si modificano in maniera quantomeno discutibile le leggi, al grido di "È finita la pacchia" si farnetica di "carico residuale" riferendosi alle persone. Un oggi che non ci piace.