Il contagio dell’algoritmo (Donzelli editore, collana “Rosso e Nero”, pp. 288, euro 14) racconta il periodo che stiamo vivendo non come una parentesi, bensì quale nuova stagione dell’esistenza della nostra specie, in cui proprio le abitudini caratteristiche della civiltà umana devono essere rimodellate in virtù di un processo di trasformazione globale per molti aspetti irreversibile.

Una transizione talmente repentina che ci obbliga, in pratica senza possibilità di scelta, a “condividere” funzioni discrezionali sensibili con pochi centri tecnologici, le cosiddette techno corporation, in grado di raggruppare nelle mani di una manciata di aziende tutti i dati disponibili, con l’obiettivo ormai evidente di ottenere i migliori algoritmi predittivi, e guadagni stellari. Oltre questo, l’occultamento di statistiche rilevanti in merito alla pandemia, non ci consente di affrontare l’emergenza sanitaria nella maniera dovuta, con tutte le tragiche conseguenze del caso.

Una celebre definizione di Lenin in esergo al volume, “Ci sono decenni in cui non accade niente, e settimane in cui accade tutto”, sembra fare da controcanto a una frase del virologo inglese Peter Piot, secondo il quale ci troviamo  immersi dentro “la più grande crisi sociale in tempo di pace” della storia, che ci costringe a fare i conti con la vita e la morte, e a costruire una dialettica tra “calcolanti” e “calcolati”.

L’autore del libro è Michele Mezza, giornalista esperto di digitalizzazione dell’informazione e della comunicazione in genere, docente di culture digitali presso l’Università Federico II di Napoli. Pubblicato nel settembre scorso, gli abbiamo chiesto un aggiornamento in tempo reale della situazione. “Grazie alla concertazione con gli altri autori, in particolare il virologo Andrea Crisanti e le studiose Enrica Amaturo e Roberta Pelachin, con i quali abbiamo voluto dedicare il nostro lavoro alla scomparsa proprio in tempo di Covid del filosofo Giulio Giorello, credo che questo libro abbia colto nel segno, centrando due passaggi fondamentali: il dualismo tra libertà e sicurezza, come per certi versi anche le ultime elezioni americane hanno mostrato, e il peso dei numeri, dei calcoli, dei dati. La pandemia è innanzi tutto un fenomeno matematico, prima che sanitario, governato con la potenza di calcolo. E se non ci impossessiamo di questo sistema, rischiamo di essere subalterni al fenomeno”.

Un sistema che condiziona anche l’aspetto strettamente medico della questione: “Se non siamo nelle condizioni di consultare l’intero spettro dei dati, i più significativi sequestrati dalle grandi piattaforme che dominano il mondo contemporaneo, non prevediamo la dinamica del virus, ma lo inseguiamo”.

Nel volume viene infatti ben spiegato come e perché Apple e Google siano divenute in questo ultimo anno ancor più potenti, beneficiando del periodo della pandemia quale “momento migliore” per i loro bilanci. Già nei primi giorni del luglio 2020 il listino del Nasdaq, la borsa dei titoli tecnologici di New York, segnava incrementi per le principali compagnie della Silicon Valley attorno al 30%, per Amazon sino al 50%; mentre una piattaforma praticamente sconosciuta fino a febbraio, Zoom, in pochi mesi ha raggiunto una capitalizzazione equivalente alle prime sette compagnie aeree del mondo. La trasformazione sociale ed economica del mondo avanza a ritmi vertiginosi.

Questo è il punto vero - continua Mezza – di cui anche il sindacato sta gradualmente prendendo atto. La vera controparte, il vero nemico è il sistema che ha privatizzato la capacità di prevedere i comportamenti. La combinazione di big data, di tutti i dati del mondo, è qualcosa di inedito: non è mai accaduto prima che qualcuno avesse la possibilità di concentrare i dati di 4-5 miliardi di persone in maniera ossessiva, elaborati da un sistema artificiale che incide sullo squilibrio antropologico, sulla struttura della specie. Detto in altri termini, ci troviamo di fronte a un potere discrezionale ormai esercitato disinvoltamente da soggetti privati che invadono la sfera pubblica, su cui il sindacato dovrebbe impegnarsi ancora più a fondo. D’altra parte, nel secolo scorso è stato fatto un ragionamento simile sul capitale privato, e il sindacato nacque anche per limitare il potere di proprietà delle aziende rispetto al pubblico. Una situazione oggi esasperata all’ennesima potenza, con l’aggravante che al momento manca una controparte”.   

A proposito di aggiornamenti, e di tutela dei lavoratori, Mezza ci tiene a sottolineare un episodio anticipato dal libro, puntualmente verificatosi: “Giusto un mese fa, prima della fine dell’anno, abbiamo assistito al clamoroso licenziamento di Timnit Jebru, responsabile del team etico di Google per l’intelligenza artificiale. Licenziata per aver denunciato il trattamento a lei riservato, visto il suo impegno sociale, e il trattamento di dati riservati… Da qui è nato il primo sindacato di Google, che ha subito chiarito di essere nato non per negoziare i rispettivi stipendi, ma per controllare e garantire la trasparenza dei dati”.

Viene da chiedere all’autore, a questo punto, se esista una via di fuga, una prospettiva migliore, la possibilità di tornare a essere se non padroni, almeno partecipi delle scelte individuali e collettive del nostro futuro. “Se mi si consente un paradosso, senza volere essere catastrofico - è la sua chiosa -, direi che è la disperazione l’unica vera speranza. Nel libro si chiede: quanti morti ci vogliono ancora per prenderci i dati che Google e Amazon stanno occultando? Quando diciamo basta? Ecco, il tema è questo. C’è una sproporzione intollerabile, ben indicata ne Il capitalismo della sorveglianza di Shoshana Zuboff, per la quale questi signori sanno troppo per essere liberi, e non può esser concesso loro di fare quello che vogliono. Si deve porre un argine a un potere planetario che riguarda ognuno dei sette miliardi degli abitanti di questo pianeta, perché possono interferire su ognuno di noi nei comportamenti, nelle psicologie, nelle culture. Come si apre una speranza? Come sta facendo il sindacato dei lavoratori Google. Aggiungo che l’Unione europea, al contrario degli Stati Uniti, men che mai la Cina, sta prendendo provvedimenti che incontrano due proposte contenute nel libro: i dati devono essere trasparenti nella loro tracciabilità, (mi devi far vedere cosa ne fai); gli algoritmi devono essere controllabili e condivisi. Una questione di enorme portata, di cui la pandemia è una drammatica lente d’ingrandimento”.