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Sabato pomeriggio si è chiusa la trentesima conferenza Onu sul clima. Era stata definita la Cop della verità e la Cop dell’implementazione. A chiusura dei lavori possiamo dire che non è stata la Cop dell’implementazione ma è stata la Cop della verità. Non la verità della scienza, che ci indica la nettezza e l’urgenza delle azioni necessarie per contrastare il riscaldamento globale; non la verità dei numeri che contano morti, catastrofi, devastazioni, incendi, perdite economiche; non la verità dei popoli, del movimento climatico, dei sindacati che chiedono un radicale cambio di sistema per garantire pace, equità, giustizia ambientale e sociale. Ha vinto la cruda verità di un sistema politico-economico-finanziario globale che non è in grado di agire collettivamente per il bene comune.
Un documento finale senza coraggio
Nel testo finale del documento politico finale, “Mutirão globale: umanità unita nella mobilitazione globale contro il cambiamento climatico”, non c’è nessun riferimento alla roadmap per l’uscita dalle fonti fossili né per fermare la deforestazione, le due cause della crisi climatica. Alla spaccatura degli ultimi giorni, fra gli oltre 80 paesi che chiedevano di inserire la roadmap sui combustibili fossili e chi si opponeva a qualunque avanzamento in tal senso, la presidenza ha risposto con un testo senza nessuna ambizione, che salvaguarda i petro-stati e le lobbies del fossile, imposto a colpi di martelletto.
I commentatori più ottimisti mettono in risalto la vittoria del multilateralismo, sostenendo che un documento politico finale, per quanto privo di ambizioni, è meglio di un mancato accordo. Certo di questi tempi di instabilità politica, guerre, genocidi e tensioni geopolitiche diffuse è assolutamente positivo assistere a due settimane di negoziati in cui si cerca di definire un processo per consenso con cui salvare l’umanità dal disastro climatico. Però è anche evidente che questo processo non funziona.
Finanza climatica: promesse senza basi
Sul versante della finanza è stata accolta parzialmente la richiesta dei paesi in via di sviluppo di triplicare le risorse per l’adattamento. Però, non sono stati definiti gli indicatori dei piani di adattamento e non sono state previste risorse aggiuntive. Le risorse in più che andranno all’adattamento saranno, una parte dei 300 miliardi di dollari all’anno stabiliti nella scorsa conferenza di Baku, mentre non si è fatto nessun passo in avanti per portare questi finanziamenti a 1300 miliardi di dollari l’anno come stabilito nella Baku-Belem raodmap, né sono stati fatti sforzi per aumentare questa ultima cifra considerando che è del tutto inadeguata.
Senza uscita dal fossile non esiste transizione
I negoziati del programma di lavoro sulla Giusta transizione hanno accolto la richiesta del movimento sindacale e di tutto il movimento per la giustizia climatica di un Bam (Belem action mechanism). È stato deciso di sviluppare un meccanismo per una transizione giusta, allo scopo di rafforzare la cooperazione internazionale, l'assistenza tecnica, lo sviluppo di capacità e la condivisione delle conoscenze e consentire transizioni giuste, eque e inclusive. Il meccanismo sarà implementato e gli organismi sussidiari dovranno presentare una bozza di decisione per renderlo operativo, all’incontro di giugno 2026, per poterlo sottoporre all'esame della Conferenza delle Parti del prossimo novembre in Turchia.
È una prima vittoria per i lavoratori, i popoli indigeni, le comunità, i giovani, le donne. I prossimi passi sono quelli di conquistare una governance partecipata e democratica e un ruolo centrale per l’Ilo al tavolo negoziale sul meccanismo. Il Bam però da solo non basta. La giusta transizione si compone di due parole, dove “giusta” rappresenta la giustizia sociale e ambientale e “transizione” indica un cambiamento del sistema energetico e produttivo che parte dall’uscita dalle fonti fossili e dallo stop alla deforestazione per rispettare il limite di 1.5°C che si inserisce in un più ampio e radicale cambiamento di sistema con il superamento di guerre, sfruttamento della natura e del lavoro, colonialismo, estrattivismo, appropriazione di risorse e terre.
Se non si parte dal superamento delle fonti fossili e dallo stop alla deforestazione non c’è nessuna giusta transizione, semplicemente perché non c’è la transizione ma si resta bloccati in questo sistema iniquo, che tutela gli interessi e il potere di pochi a scapito del benessere collettivo, del bene comune, della vita e del lavoro.
La spinta nuova del movimento dei popoli
Le cose positive che ci restano della Cop 30 sono due iniziative extra Cop, che non fanno parte del processo Onu. Una è quella lanciata dalla Colombia con l’Olanda che hanno annunciato la prima conferenza globale sulla transizione dalle fonti fossili che si terrà il 28 e 29 aprile 2026 a Santa Marta in Colombia, e l’altra è un’iniziativa simile sulla deforestazione.
Ma, soprattutto usciamo dalla Cop con la forza di un rinnovato movimento, unito nella diversità, che guidato dai popoli originari, ha ripreso forza e orgoglio che si è assunto il compito di costruire un mondo giusto e democratico, con benessere per tutti. Come cita il documento finale della Cupola dos povos, il summit dei popoli che si è tenuto nella prima settimana della conferenza e a cui la Cgil ha aderito.
“Infine, crediamo che sia giunto il momento di unire le nostre forze e affrontare il nemico comune. Se l’organizzazione è forte, la lotta è forte. Per questo motivo, il nostro principale compito politico è l'organizzazione dei popoli in tutti i paesi e continenti. Radichiamo il nostro internazionalismo in ogni territorio e facciamo di ogni territorio una trincea nella lotta internazionale. È tempo di avanzare in modo più organizzato, indipendente e unito, per accrescere la nostra consapevolezza, forza e combattività. Questa è la strada per resistere e vincere”.
Simona Fabiani è responsabile politiche per il clima, il territorio, l’ambiente e la giusta transizione Cgil nazionale






























