Il 22 febbraio scorso è stata approvata dal Parlamento Europeo la legge per il ripristino della natura. L’approvazione si inserisce in questo stralcio di legislatura, in cui molti pilastri del Green Deal europeo stanno subendo gravi battute di arresto o di arretramento.

A passo di gambero

La proposta di regolamento per ridurre l’uso dei pesticidi è stata ritirata dalla commissione; i governi si oppongono alla direttiva europea sulla qualità dell’aria, chiedendo di rinviare al 2040 l’introduzione di nuovi limiti allineati agli standard dell’Oms; sul regolamento packaging e rifiuti da imballaggio (Ppwr) è stato trovato un accordo provvisorio fra parlamento e consiglio che riduce le ambizioni della proposta iniziale. E ancora: la commissione europea ha adottato una deroga alla regola di lasciare il 4 per cento dei terreni incolti prevista dalla Politica agricola comune.

Va precisato però che gli attacchi al Green Deal non sono partiti ora, basta ricordare l’inserimento di gas e nucleare nella tassonomia degli investimenti sostenibili e la deroga all’applicazione del principio di non arrecare danni significativi all’ambiente e al clima, concesso ai nuovi investimenti per il gas dalle regole del RepowerEu.

Norma depotenziata

In questo contesto di disimpegno complessivo sul Green Deal, la legge sul ripristino della natura è stata approvata dal parlamento ma è stata resa meno “offensiva” al sistema, allungando i tempi, introducendo deroghe e aumentando i condizionali.

È stata anche prevista la possibilità di sospendere l’applicazione della legge qualora si verifichino eventi imprevedibili ed eccezionali con gravi conseguenze a livello di Unione per la disponibilità di terreni necessari a garantire una produzione agricola sufficiente per il consumo alimentare.

Anche se si tratta di casi particolari è un’affermazione grave, perché stravolge la realtà attribuendo alle norme di tutela ambientale, e non alla siccità e alle inondazioni causate dal cambiamento climatico e all’inquinamento, la responsabilità di mettere a rischio i sistemi alimentari.

Ecosistemi, urgente intervenire

Oltre l'80 per cento degli habitat europei è in cattivo stato e questo rende urgente intervenire perché la biodiversità è fondamentale per il benessere umano e per un Pianeta sano, per la prosperità economica di tutte le persone, per vivere bene in equilibrio e in armonia con la natura da cui dipendiamo per il cibo, la medicina, l’energia, l’aria e l’acqua pulite, la sicurezza dai disastri naturali, il contrasto al cambiamento climatico, le attività ricreative e culturali, il sostegno a tutti i sistemi di vita.

Ripristino delle zone

Pur con le attenuanti intervenute, la legge è stata approvata con l’obiettivo di definire un quadro di regole affinché gli Stati membri mettano in pratica misure di ripristino per almeno il 20 per cento delle zone terrestri e almeno il 20 per cento di quelle marine entro il 2030, e tutti gli ecosistemi che necessitano di ripristino entro il 2050.

Entro il 2030 dovranno mettere in atto misure di ripristino per riportare in buono stato le zone degradate dando priorità alle aree protette della rete Natura 2000, mentre la proposta della commissione parlava di ripristino di habitat degradati in generale su tutto il territorio dell’Unione.

I piani nazionali

Inoltre, dovranno presentare piani nazionali di ripristino per contribuire agli obiettivi dell’Unione previsti dalla legge: recupero della biodiversità e della resilienza degli ecosistemi attraverso il ripristino degli ecosistemi degradati; conseguimento degli obiettivi generali dell'Unione in materia di mitigazione e adattamento al cambiamento climatico; sicurezza alimentare; rispetto degli impegni internazionali.

Per le aree agricole, gli Stati dovranno valutare tre diversi indicatori: abbondanza delle farfalle comuni, stock di carbonio organico nei terreni, percentuale di superficie agricola con elementi caratteristici del paesaggio a elevata diversità. E poi migliorare le condizioni di almeno due di questi, mentre nel testo originario dovevano essere migliorati tutti e tre. Per ridurre le emissioni nel settore agricolo, resta l’obbligo per gli Stati di ripristinare almeno il 30 per cento delle zone umide entro il 2030, questo obbligo non vale per gli agricoltori sui loro terreni e per i proprietari terrieri privati.

Battaglia per la giusta transizione

Ora l’iter deve concludersi con l’approvazione da parte del Consiglio e la pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Su questo step, come sulle altre partite legate al Green Deal, dobbiamo tenere alta l’attenzione e la capacità di mobilitazione per rivendicare obiettivi di tutela ambientale e del clima ambiziosi, coniugati a giustizia sociale, equità e piena occupazione. Il Green Deal europeo si sta svuotando di contenuti concreti, rischia di diventare il greenwashing di una politica sempre più spostata verso il War Deal. La nostra battaglia per la giusta transizione, soprattutto in questa fase di programmi ed elezioni europee, è fondamentale per il lavoro, il clima e la pace.

Simona Fabiani è responsabile Cgil nazionale delle Politiche per il clima, il territorio, l'ambiente e la giusta transizione