Terreni inquinati da policlorobifenili, diossine, furani, mercurio, arsenico, tetracloruro di carbonio, cromo esavalente. Alcuni di questi composti sono finiti nella falda acquifera della città, mentre altri sono entrati persino nella catena alimentare. Questo il risultato di cento anni di Caffaro, azienda chimica che arriva a Brescia ai primi del Novecento e che fin dall’inizio utilizza per la produzione l'acqua della falda che viene poi rilasciata, contaminata dai veleni. Una storia che inizia nel 1906 e che ancora non ha visto la parola fine. Anzi. Il futuro di un’area dichiarata nel 2003 dal ministero dell’Ambiente sito di interesse nazionale, con l’obiettivo di effettuare interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza d’emergenza, bonifica, ripristino e monitoraggio, e di 34 lavoratori tuttora impegnati a evitare il disastro, non è chiaro.

“Non si sa chi e come oggi deve presidiare quel sito, metterlo in sicurezza, evitare che l’inquinamento si aggravi e si espanda – afferma Patrizia Moneghini, segretaria generale Filctem Cgil Brescia -. E non si conoscono le sorti dei dipendenti che con il loro operato oggi garantiscono che la falda acquifera non si contamini più di quanto non lo sia già”. Questo perché le vicende societarie della Caffaro sono complesse e intricate. L’azienda che aveva iniziato un secolo fa a riversare i veleni nelle rogge, oggi non esiste più, è stata svuotata e scorporata, quindi è passata di mano in mano. Mentre venivano scoperte l’entità dell’inquinamento e le modalità delle contaminazioni (il caso è scoppiato nel 2001 quando uno studio ha evidenziato concentrazioni di Pcb in terra, acqua, animali, campagne circostanti la cittadella industriale e persino nel latte delle mucche), gli stabilimenti hanno continuato a produrre e a inquinare, indisturbati.

Fino ai giorni nostri. È di due anni fa l’approvazione del piano di bonifica, del 2019 l’iscrizione nel registro degli indagati di vertici e delegati aziendali per inquinamento da cromo e da mercurio, del 2020 la revoca da parte della Provincia di Brescia dell’autorizzazione a produrre in quel sito. Morale. La Caffaro Brescia, l’ultima società rimasta, ha comunicato la cessazione di tutte le attività, anche di quella che mantiene operativa la barriera idraulica che fa da schermo ai veleni che altrimenti andrebbero a infestare la falda cittadina. Fino al 31 marzo 34 operai continueranno ad azionare le pompe. Dopo, non si sa. “Come Cgil abbiamo chiesto risposte per i lavoratori e per i cittadini – dichiara Moneghini -. Dicono che i livelli degli inquinanti sono già saliti e questo conferma la necessità di presidiare il sito, per la sicurezza ambientale. I lavoratori in questa fase possono rappresentare una risorsa importante, per gestire i processi. Per questo abbiamo chiesto di aprire un tavolo al Mise, coinvolgendo anche il ministero dell’Ambiente”.

Mentre nei giorni scorsi l’Arpa ha lanciato l’allarme per il livello di cromo esavalente nella falda che scorre sotto lo stabilimento, un’ordinanza dell’ormai ex ministro dell’Ambiente Sergio Costa stabilisce che tutti i soldi spesi per risanare l’area saranno recuperati dai presunti responsabili dell’inquinamento, e chiama in causa sei società che si sono succedute dal 2002 a oggi. Si tratta di 85 milioni di euro per il piano di bonifica, che per il momento sono a carico della Regione Lombardia e del governo, ovvero sborsati dai cittadini.

(Montaggio video di Maria Antonia Fama)