Le perplessità sul cosiddetto “decreto Salvini” sono molte. A partire dal “mettere insieme temi quali la sicurezza, la lotta alle mafie e l'immigrazione”, per continuare ai possibili rischi connessi al “rispetto degli obblighi costituzionali e gli impegni internazionali assunti dall'Italia”. E per finire alla vendita ai privati dei beni confiscati. Ed è soprattutto su quest’ultimo punto che si accentrano le critiche di Cgil, Uil e associazioni (Acli, Arci, Avviso pubblico, Centro studi Pio La Torre, Legambiente e Libera), promotrici della riforma del Codice delle leggi antimafia approvata lo scorso anno, al provvedimento emanato dal governo.

Sindacati e associazioni approvano “la previsione di rafforzare l’Agenzia nel suo organico, in particolar modo con 70 nuove assunzioni attraverso concorso pubblico, anziché ricorrendo solo alle procedure di mobilità interna”, evidenziando però che “non sono individuate le coperture finanziarie” e che “risulta difficile pensare di sostenere finanziariamente questo fabbisogno con il 20 per cento che l'Agenzia dovrebbe ricevere dai proventi della vendita dei beni immobili. In primo luogo, perché anche nell’eventualità che ciò avvenga non è possibile ipotizzare il valore del ricavato. In secondo luogo, perché i tempi sarebbero comunque lunghi. Infine, perché l'Agenzia sarebbe incentivata a vendere piuttosto che operare per un riutilizzo pubblico e sociale dei beni”.

Per i firmatari del documento sarebbe invece più utile “dare concreta attuazione alla Strategia nazionale per la valorizzazione pubblica e sociale dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata approvata alcuni mesi fa dalla Conferenza Stato-Regioni, attraverso l'utilizzo delle risorse nazionali e comunitarie indicate e già in parte disponibili nella programmazione delle politiche di coesione”. La Strategia nazionale prevede, infatti, il rafforzamento “della capacità amministrativa e della cooperazione degli attori istituzionali responsabili del processo di sottrazione, valorizzazione e restituzione alla società dei patrimoni illegalmente accumulati”.

Ma a destare le maggiori preoccupazioni è l’estensione della vendita dei beni confiscati ai privati. A questa vendita, spiegano sindacati e associazioni, si deve “ricorrere come extrema ratio, com’è nello spirito originario della legge 109/96, e non come una scorciatoia per evitare le criticità che si riscontrano nella destinazione e assegnazione dei beni”. La vendita deve essere “realizzata in modo controllato, così da impedire un ritorno nella disponibilità dei mafiosi dei beni loro sottratti. E deve essere accompagnata da un serio progetto di riutilizzo, che deve essere attentamente valutato da parte degli organi competenti dello Stato”.

La previsione della vendita “a tutti i privati, ricorrendo all’asta, desta forti perplessità, pur se nel decreto per alcune categorie di soggetti è previsto il diritto di prelazione”. A questa preoccupazione, però, se ne aggiunge un’altra, ossia che “i beni messi all’asta non solo siano venduti a prezzi svalutati ma, altresì, che il loro acquisto possa essere realizzato da componenti di quella ‘area grigia’, composta da professionisti, imprenditori, faccendieri, che agisce formalmente nella legalità, ma in realtà opera per la riuscita di operazioni commerciali e finanziarie capaci di riciclare il danaro sporco e di provenienza illecita”. Il rischio che si “aggirino i paletti previsti per garantire una vendita controllata sono concreti. Tra l'altro non si tiene conto che già oggi non sono destinati i beni immobili con maggiori problematiche, perciò è prevedibile che scarse saranno le vendite a buon fine”. Da ultimo, sindacati e associazioni sollecitano la “concreta attuazione delle disposizioni previste nel decreto legislativo sulla tutela dei lavoratori delle aziende sequestrate e confiscate, approvato nel maggio scorso”.

Per tutte queste ragioni, concludono Cgil, Uil, Acli, Arci, Avviso pubblico, Centro studi Pio La Torre, Legambiente e Libera, occorre “da parte di tutti responsabilità e impegno concreti per assicurare l'effettiva restituzione dei patrimoni sottratti ai mafiosi e ai corrotti alla collettività, in un'ottica ‘risarcitoria’, sotto forma di servizi sociali, lavoro vero ed economia solidale, e per difendere il sistema attuale delle misure di prevenzione antimafia”.