Troppi debiti, pochissima crescita, tre o quattro miliardi da trovare entro aprile: la situazione dei conti pubblici italiani è preoccupante. Ma ancora più preoccupante è “la risposta che ha inviato il governo con la lettera del ministro dell'Economia”. Così Riccardo Sanna, responsabile del dipartimento sviluppo della Cgil nazionale, ai microfoni di RadioArticolo1 durante la trasmissione "Italia Parla". “Ancora una volta – spiega il dirigente sindacale –, dinnanzi all'emergenza che sta attraversando il nostro Paese, e mi riferisco naturalmente al terremoto come all'aumento dei flussi migratori, il governo ribadisce che farà nuovi tagli alla spesa e aumenterà le entrate”.

 

Da un lato i richiami europei e il rischio di procedura di infrazione, dall'altro la prospettiva di tagli e di tasse. Da questa tagliola, per Sanna, “si esce se si fanno politiche di investimenti e di creazione di lavoro. Se le avesse fatte l’esecutivo precedente, oggi avremmo una crescita maggiore. Il governo ha esultato per una variazione del Pil nell'ultimo trimestre 2016 di appena lo 0,2%, che ha portato un decimale in più alla crescita del Pil sulla cui base si misura la sostenibilità dei conti pubblici. Peccato che l'anno scorso si sia chiuso in deflazione e quindi quel Pil in realtà in termini nominali sia molto più ridimensionato”. Da qui l’allarme di Bruxelles: “Debito, deficit, obiettivi di medio termine su un Pil più basso risultano meno sostenibili, allora ancora adesso non mi sembra che questo governo abbia imparato la lezione, continua a immaginare nuove entrate con finte misure di contrasto all'evasione, mentre il punto è sempre lo stesso: generare crescita per far tornare i conti a posto”.

Prosegue Sanna: “Il governo ha speso tantissimo per incentivare le nostre imprese, che invece hanno restituito pochissimo in termini di investimenti. Quei pochi incentivi selettivi che sono stati fatti hanno prodotto una piccola variazione degli investimenti. Tutte queste cose hanno generato un rimbalzo, un sussulto della domanda in particolare della produzione industriale. Però sappiamo tutti che questo non sarà sufficiente a definire una nuova crescita. La vera uscita dalla crisi richiede un intervento pubblico in economia, quello che sta mancando sulla domanda è proprio la creazione di lavoro”.

Ma l’Italia non deve temere l’apertura di una procedura d’infrazione da parte di Bruxelles. “Noi – spiega Sanna – dovremmo presentarci non con un piano di tagli alla spesa e di riduzione dell'evasione fiscale, ma con un piano importante di contrasto alla formazione dell'evasione, e di equilibri e progressività, perciò di redistribuzione del reddito e della ricchezza in nome degli investimenti e del lavoro. Con un piano del genere Bruxelles concederebbe all’Italia i margini per risanare i conti attraverso la crescita”.

Se l'acquisto di titoli sovrani da parte della Bce dovesse rallentare “rischieremmo tantissimo – osserva Sanna ai microfoni di RadioArticolo1 –, ma vorrei tranquillizzare tutti: questo non accadrà, perché nell'ultimo consiglio direttivo della Banca centrale europea si è deciso di continuare con l'acquisto di titoli sovrani, aumentandone durata ed estensione fino almeno alla fine del 2017. C'è da dire però che quello non basta, è di nuovo un grande scudo antideflattivo, ma l'inflazione europea resta troppo bassa. Invece l'obiettivo del 2% è sano, e si potrebbe perseguire programmando addirittura la crescita di salari e pensioni”.

Durante la trasmissione è stato presentato anche il nuovo numero dell’Almanacco dell’Economia (1/2017) pubblicato dalla Cgil, dal titolo "Il modello di sviluppo diseguale e il vento nazionalista che spira in Occidente". Il numero ricostruisce lo scenario economico internazionale e in particolare quello statunitense (Trumpeconomics). La parola chiave è “protezionismo”, spiega ancora Sanna, perché il nuovo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha definito un nuovo stile di economia. Ma in realtà non c'è niente di più antico e niente di peggiore: abbiamo già visto gli effetti di una politica restrittiva che introduce tassi, tariffe, imposte doganali, l'abbiamo già visto nella grande crisi del '29”. Gli Usa, secondo Sanna, stanno pagando l’assenza di un modello sociale europeo, sebbene “grazie alle politiche di Obama la disoccupazione abbia raggiunto i minimi storici”. “Ma non sono riusciti a intervenire sul welfare (con l’eccezione dell’Obamacare) e sulle relazioni industriali, anzi non avendo strutturato veri e propri diritti sindacali e veri e propri aumenti generalizzati dei salari, sono aumentate le disuguaglianze. Da qui è emersa la reazione che ha portato Trump al governo”.

Il problema – conclude Sanna – è che Trump “farà una politica aggressiva verso l'esterno anche in termini economici e valutari, allora l'intolleranza dall'economia passerà alla società, con misure devastanti nella gestione flussi migratori. Ma la colpa è anche dell’Europa: un enorme bacino commerciale, produttivo, economico, di innovazione che purtroppo, in questi anni, perseguendo una svalutazione competitiva della moneta per via fiscale, ha creato enormi tensioni con gli Stati Uniti e con le economie emergenti”.