Quasi undici anni di crisi profondissima hanno accentuato diseguaglianze già presenti nel nostro paese. Quasi 5 milioni di cittadini sono diventati poveri, 12 milioni non accedono alle cure del sistema sanitario nazionale perché troppo care, e molti di loro sono lavoratori il cui salario è talmente basso da non permettere una vita dignitosa. Frammentazione, polverizzazione e precarietà sono i termini che meglio descrivono il mondo del lavoro attuale, mentre innovazione tecnologica, digitalizzazione dei processi produttivi e algoritmi arrivano a mescolare ulteriormente le carte in tavola. “
La società italiana, al pari delle altre società europee e forse con qualche elemento di fragilità in più per quanto riguarda i conti pubblici, presenta non soltanto un incremento delle diseguaglianze, ma anche un progressivo impoverimento del baricentro della società”. A dirlo ai microfoni di RadioArticolo1 è Luciano Fasano, docente di Scienze politiche all'Università di Milano.

L'impoverimento del ceto medio – continua Fasano – è rappresentato soprattutto dal fatto che le nuove generazioni possiedono competenze e professionalità più elevate delle generazioni precedenti, ma vivono in condizione di assenza di tutele. È un fenomeno rischiosissimo, sia per quanto riguarda le condizioni economiche e sociali della parte centrale del baricentro della società, sia per quanto riguarda gli aspetti legati alla disaffezione politica. Perché la parte centrale rappresenta il motore produttivo di un Paese, eppure il sistema economico-imprenditoriale mette in atto un azzardo morale nei suoi confronti, con concedendo diritti. Questo determina l'impoverimento del ceto medio e un allontanamento dalle istituzioni democratiche della cittadinanza più attiva”.

Anche per questo l'astensionismo in Italia ha avuto negli ultimi anni una crescita esponenziale. “Da una parte si tratta di un dato fisiologico in molti paesi con una consolidata tradizione democratica - afferma il docente - ma d'altra parte siamo di fronte a un fenomeno preoccupante, perché si salda a un distacco dalla politica, e soprattutto dalle forme di organizzazione della politica che cercano di trovare nelle istituzioni della democrazia rappresentativa uno sbocco del voto. Questo ha delle conseguenze abbastanza evidenti anche sul grado di legittimazione e sulla tenuta delle istituzioni democratiche”.

È evidente che in questo momento la rappresentanza sociale in Italia “vive una cattiva reputazione”, perché nell'opinione pubblica “esiste l'idea che abbia rappresentato un elemento d'intralcio”. Ma la democrazia è ancora fatta da due canali: “il canale della rappresentanza politica e democratica, e il canale della rappresentanza degli interessi organizzati”.

Per Fasano, però, “non bisogna illudersi che la disintermediazione prodotta dall'avvento della rivoluzione tecnologica possa creare una democrazia di qualità maggiore”. I processi della democrazia sono molto complessi e “richiedono l'impegno e delle competenze di soggetti organizzati collettivi”. Oggi viviamo “una crisi di entrambi i circuiti della rappresentanza, quello che passa dai partiti e quello che passa dai sindacati”.

Bisogna quindi “ripensare profondamente la rappresentanza e tornare a costruire un'azione di contrattazione da parte di un soggetto collettivo come il sindacato”. Questo, però, significa “trovare un'identità diversa rispetto al passato, perché nel passato c'era il sostegno dell'identità politica e ideologica”. Oggi, nella percezione dei cittadini queste identità non sono rilevanti, “allora si tratta di immaginare percorsi di costruzione di nuovi campi di solidarietà e di nuove identità collettive che non passino più attraverso il supporto di identità politiche tradizionalmente intese”.

È una sfida enorme per il sindacato, “ma che la Cgil ha già cominciato ad affrontare”. A dirlo è Gaetano Sateriale, dell'area sviluppo della Cgil nazionale e responsabile del Piano del lavoro. “Perché - ha affermato Sateriale - la crisi della rappresentanza sindacale deriva dal fatto che si è trasformato in maniera radicale il lavoro e il sistema economico su cui erano cresciute le rappresentanze. Abbiamo già cominciato a ragionare sopra queste trasformazioni e stiamo individuando dei filoni su cui muoverci”. Se ne parlerà durante la prossima conferenza di programma della Cgil, “che sarà incentrata su come la rivoluzione digitale cambi il lavoro e su come il sindacato possa continuare a tutelare i diritti e a contrattare le condizioni di lavoro”. “Ma come sindacato - ha concluso -, dobbiamo tener conto anche della crisi della rappresentanza della politica . Per questo stiamo parlando, e non è un caso, di una nuova confederalità, proprio perché in qualche modo dobbiamo supplire a un'assenza di altri soggetti di rappresentanza”.