“La speranza è che questa battaglia sacrosanta possa davvero condurre alla legge sulla cittadinanza. Perciò è importante la mobilitazione di oggi (13 ottobre, ndr) appoggiata da tante organizzazioni e associazioni, cittadini, studiosi, e anche da alcuni parlamentari che non si sono arresi”. Francesco Carchedi, sociologo, docente di Politiche e servizi sociali all'Università La Sapienza di Roma, parla così del “Cittadinanza Day”, la manifestazione a Montecitorio che vede tra i protagonisti anche i sindacati per sostenere lo Ius soli, finito in un vicolo cieco del Senato. “Prendiamo atto in particolare – osserva Carchedi – dell'impegno di Luigi Manconi, che è stato bravissimo a non mollare dopo che la ministra Boschi aveva detto non c'era più nulla da fare e che la legge sarebbe stata abbandonata da questa legislatura. Lui invece ha rilanciato con la bella e innovativa idea dello sciopero della fame alternato, che sta coinvolgendo tante persone e ha fatto da apripista alla manifestazione. Stiamo parlando di questioni civili che appartengono a tutti”.

Rassegna Professore, lei segue da anni questi temi. Quando e perché nasce lo Ius soli?

Carchedi Pensate che fu istituito da Romolo, primo Re di Roma, come passo successivo allo Ius asylum. Due istituti pensati all'epoca per popolare la città concedendo asilo ai perseguitati. È per questo che poi ci fu il famoso Ratto delle Sabine, perché in tanti ottennero la cittadinanza ed erano per la maggior parte uomini, quindi bisognava riequilibrare i generi. Fa sorridere che un istituto così nobile, pensato oltre 2700 anni fa, oggi non venga riconosciuto ai 7-800 mila giovani nati da genitori stranieri che vivono nel nostro paese. Chi si appella alla retorica dell'impero o alla grandezza dall'Antica Roma, per difendere ciecamente l'italianità, forse se l'è dimenticato.

Rassegna Estremismi a parte, però, le resistenze oggi sono tante. Secondo una recente ricerca dell’Osservatorio europeo sulla sicurezza, la legge sulla cittadinanza ha avuto negli ultimi anni un crollo di consensi, passati dall'80 per cento del 2014 all'attuale 52 per cento. Come lo spiega?

Carchedi Nei sondaggi d'opinione le persone rispondono influenzate dalla contingenza, dal momento in cui viene posta la domanda. In questi tre anni in Europa abbiamo avuto attentati cruenti, fatti da persone che avevano la cittadinanza del paese in cui sono cresciuti. Ciò ha fatto pensare a qualcuno che i beneficiari dello Ius soli possano essere potenziali terroristi. Non lo si dice chiaramente, ma è questo il motivo che spinge al “no” alcuni moderati, come i gruppi legati ad Alfano, e una parte di cattolici reticenti. Ma non c'è alcun automatismo, chi lo sostiene dice un'enorme falsità. Vale invece il ragionamento contrario: lasciando questi ragazzi confinati in un limbo, può aumentare il pericolo che possano debordare verso forme estremistiche. Se al contrario noi concediamo diritti, automaticamente aumenta il consenso. La cittadinanza non è una concessione, è un diritto. E non si tratta di scambiare qualcosa con qualcos'altro. Significa riconoscere un diritto a persone che nascono e studiano nel nostro paese, nella configurazione culturale che ci fa dire “siamo italiani e siamo europei”.

Rassegna In pratica lei dice che bloccando la legge si rischia di fare peggio?

Carchedi È una battaglia civile a mio modesto avviso sacrosanta. Non possiamo negare a questi ragazzi la possibilità di uno sviluppo armonico, altrimenti su di loro peserà il fatto che svolgono lo stesso lavoro, o fanno gli stessi studi dei loro amici, ma non sono considerati cittadini a pieno titolo. Vuol dire relegarli in una condizione subalterna. Per gli adulti che stanno qui da molto tempo il processo di “cittadinizzazione” è diverso, nasce dalla partecipazione civile e attiva alla vita del paese. Con i minori il procedimento si inverte: è necessaria la cittadinanza formale per attivare quel processo.

Rassegna Non a caso una delle spinte maggiori allo Ius soli è arrivata proprio dal mondo della scuola.

Carchedi È vero. Nelle aule si vive questa differenza tra i bambini, coetanei e amici: alcuni sono italiani, altri non sono “nulla”. È un fatto inaccettabile per gli insegnanti, che stanno conducendo, e non da oggi, una lunga battaglia giunta al culmine in questi anni per un preciso motivo storico: l'immigrazione in Italia è iniziata circa quarant'anni fa; chi si è sistemato ha cominciato qualche anno dopo a fare figli e a mettere su famiglia. Il nodo si pone davanti ai nostri occhi oggi: iniziano a essere davvero molti i ragazzi nati all'inizio degli anni Duemila o poco prima costretti a crescere con questa spada di Damocle.