Un programma incentrato sulla politica economica e sui rapporti con l’Unione Europea, ma un dialogo solo indiretto con il mondo sindacale. Questa è la situazione del governo, appena nato, di Alexis Tsipras. Una situazione paradossale, che si spiega solo tenendo conto di due fattori: la specificità del movimento sindacale greco, ma anche la peculiarità del partito di governo Syriza. Fino dal periodo tra le due guerre mondiali del Novecento il sindacalismo greco si è trovato a dover affrontare il forte controllo da parte della politica. Alla fine gli fu imposta quella struttura organizzativa centralizzata che sopravvive anche oggi. Le uniche organizzazioni sindacali autorizzate a firmare contratti collettivi sono le due confederazioni, la GSEE per il settore privato e l’ADEDY per gli impiegati pubblici. All’interno di questo schema si muovono con maggiore o minore autonomia i sindacati aziendali a livello orizzontale, ma anche le forze politiche in lotta per il controllo dei sindacati di settore e per una presenza il più possibile determinante nei consigli centrali, i “parlamentini” delle due confederazioni.

La dura crisi scoppiata nel 2010 ha dato un colpo decisivo alle due organizzazioni centrali. Sia la GSEE che l’ADEDY hanno proclamato più di una trentina di scioperi generali, ma senza alcun risultato. Non solo è stato violentemente abbattuto il costo del lavoro (in media di circa il 40%) ma anche i diritti sindacali sono stati drasticamente limitati. Perfino i contratti collettivi di lavoro hanno perso ogni rilevanza legale. Questo ha provocato una grave crisi di rappresentanza e incisività nel movimento sindacale greco. Syriza ne soffre ancora di più. La sua impetuosa crescita di consensi non si è tradotta anche in maggiore influenza all’interno delle due confederazioni. Persino al livello dei sindacati di categoria o negli ordini professionali, la corrente del partito, denominata META (Schieramento di Classe e di Lotta degli Operai e degli Impiegati) si trova in minoranza. L’intervento sul mondo del lavoro, quindi, deve per forza passare attraverso l’opera del governo.

Nel programma economico del nuovo esecutivo la questione del lavoro sta ovviamente al primo posto. Come Tsipras ha annunciato già a settembre a Salonicco, i provvedimenti previsti si basano su due pilastri. Il primo è l’immediato intervento in favore delle famiglie senza alcun reddito. A questo si è voluto associare, però, anche un ripristino del minimo salariale ai valori pre-crisi, cioè 780 euro al mese al posto degli attuali 470. Il secondo pilastro è quello più noto e riguarda l’elaborazione di una strategia di sviluppo economico del paese. Su questo Syriza e lo stesso Tsipras sono stati molto riservati finora, e c’è un motivo. Il ragionamento del premier è che la Grecia ha ottenuto, con un costo altissimo e con una dose di contabilità creativa, un surplus notevole, quindi il settore pubblico non costituisce più quel pozzo senza fondo che inghiottiva enormi risorse statali. Il problema è il debito che pesa in maniera determinante sul bilancio dello stato, visto che ha raggiunto oramai il 176% dell'esiguo Pil greco. La proposta di rinegoziare il debito nasce da questa esigenza di liberare risorse per investimenti in favore dell’economia reale e creare occupazione, ed è accompagnata anche dalla condizione che la restituzione del debito sia accompagnata da una ripresa dello sviluppo. Tsipras ha ripetuto molte volte che non ha intenzione di tornare all’epoca dei deficit e per questo lascia ogni elaborazione riguardo una possibile strategia di sviluppo agli esiti della trattativa con l’Unione Europea. Sarebbe impossibile per qualunque governo greco fare piani sulla carta con capitali inesistenti, rispettando le norme in vigore sul deficit ed evitando di ricorrere ai mercati.

Non resta quindi che valutare i possibili effetti che potrebbe avere sull’economia greca il ripristino dei minimi salariali del periodo pre-crisi. Secondo Tsipras, tali effetti sarebbero sicuramente positivi: aumentando, anche se di poco, gli stipendi, c’è speranza che tragga nuovo alimento il mercato e il denaro cominci a girare e provochi un aumento dei consumi, dando un po’ d'ossigeno all’oceano dei ceti medi ora in condizioni disastrate. Di più non si può sperare.

Come finirà questa trattativa? Non è possibile fare previsioni. Evidentemente, non tutto il piano di Atene sarà recepito da Bruxelles è possibile dire già da ora che nessuno tirerà la corda con il rischio di spezzarla. Quindi tutte le chiacchiere sul possibile “grexit” erano solo espedienti pre-elettorali, finalizzati a spargere il terrore tra gli elettori incerti. Una volta che si sono dimostrati inefficaci, sono stati dimenticati già dopo la chiusura delle urne. L’essenziale è comprendere l’importanza attribuita dal nuovo governo ateniese alle reazioni degli altri governi europei, in particolare di quelli dei paesi indebitati come l’Italia. Tsipras ritiene, non a torto, che il caso greco fungerà da catalizzatore in modo da accelerare il processo di sganciamento dal merkelismo di gran parte dei governi interessati. D’altronde, in questa direzione lavora anche Draghi.

La preoccupazione dei greci, anche di molti elettori di Syriza, riguarda un altro aspetto della politica del nuovo governo. Il pericolo che anche Tsipras ceda alla fine alla tentazione in cui era caduto a suo tempo, negli anni ottanta, il primo premier socialista greco, Andreas Papandreou. Garantirsi cioè una base elettorale stabile ricorrendo al facile sistema delle clientele e della spesa allegra. Tsipras è sempre stato categorico su questo punto: “Non voglio fare il premier per tornare al passato”, ha sempre ripetuto. La parità di bilancio è ritenuta un valore raggiunto con enormi sacrifici, e non lo si può gettare al vento. Ma i sospetti si concentrano sui nuovi alleati ex socialisti, che hanno aderito in massa al partito. Hanno veramente ripudiato i peccati del passato? Si spera che la proverbiale correttezza e onestà di cui si è sempre vantata la sinistra greca (in tutte le sue componenti) funzioni da argine rigoroso.

Malgrado l’impressione suscitata in Italia, l’ingresso al governo della formazione di centrodestra dei Greci Indipendenti di Panos Kammenos non è un segnale di moderazione sul piano economico. Il progetto di intervento di Syriza in campo economico appena descritto è stato pienamente condiviso a suo tempo da Kammenos, un politico conservatore che si rifà alla destra democratica, favorevole a un’economia mista, e si richiama al padre fondatore di Nuova Democrazia Konstantinos Karamanlis, il restauratore della democrazia dopo la disastrosa caduta dei colonnelli nel 1974. Non è quindi né Farage, né Salvini e nemmeno Berlusconi. Inoltre Kammenos, nel suo sforzo di portare il proprio partito, appena pochi anni fa ai margini della vita politica, verso il pieno raggiungimento dell’eta matura, non vorrà crare problemi a Tsipras. La Grecia è un paese con seri problemi di sicurezza. Non si trova al centro dell’Europa ma ai margini, e non confina con la pacifica Svizzera ma con l’aggressiva Turchia. Che approfitta delle difficoltà del vicino per intensificare le sue provocazioni armate nell’Egeo. E’ la visione imperiale del premier neo-ottomano Ahmet Davudoglu, sostenuta dal fondato sospetto che sotto l’arcipelago ci siano ingenti risorse energetiche. La Grecia deve essere in grado di difendersi per non fare la fine della piccola Cipro, buona parte della quale è ancora sotto l'occupazione militare turca fin dal 1974. Una parte di Syriza preferisce ignorare il problema e concentrarsi su un’improbabile “solidarietà di classe” con il “proletariato turco”. Affidare al partito di centrodestra il delicato problema della sicurezza nazionale è un’abile manovra per porre il suo partito di fronte alle nuove responsabilità di governo senza scandalizzare gli “internazionalisti” a oltranza.