Il Jobs Act, la contrattazione, le difficoltà – ma anche la necessità –, per un sindacato, di parlare con i giovani, cogliendone aspettative, bisogni e approcci nuovi al lavoro e alla vita. Di questo si è parlato nel forum organizzato dalla redazione di Rassegna Sindacale con la nuova segretaria generale della Filcams, Maria Grazia Gabrielli. Alla numero uno più giovane delle categorie della Cgil spetta un compito impegnativo: guidare un insieme complesso di comparti assai articolati ma con una caratteristica generale comune: tante donne, tanti giovani e moltissimo lavoro atipico e irregolare. Caratteristiche, queste, che ne fanno un banco di prova fondamentale sul quale la Cgil dovrà misurarsi in un futuro che, in realtà, è già presente. “La sfida – dice Gabrielli – è quella di lavorare all’interno delle singole categorie e della confederazione perché anche il ricambio generazionale, che in parte può significare anche ricambio di idee e di esperienze, è una modalità fondamentale per portare dentro alla nostra organizzazione i giovani che cerchiamo di rappresentare. La sfida è dunque importante: provare a rendere naturale questo ricambio generazionale e non solo attrarre, ma anche dare ai giovani spazi concreti di crescita in modo da rigenerare l’organizzazione stessa”.

Rassegna Partiamo dal Jobs Act. Che idea vi state facendo sul testo in discussione, visto che i temi che sulla carta intende affrontare riguardano molto da vicino i lavoratori che voi rappresentate?

Gabrielli La situazione che si sta determinando sul Jobs Act è molto complessa. Si prefigura una modifica del mercato del lavoro che, come suo primo impatto, rischia di non risolvere i problemi reali che affrontiamo quotidianamente e di cui in qualche modo l’azione della Filcams offre una rappresentazione quotidiana. I settori che rappresentiamo sono molto fragili sotto diversi profili: sono caratterizzati da una forte componente femminile, da molti giovani che spesso vivono in una condizione di precarietà”. La non soluzione dei problemi, si accompagna al peggioramento delle tutele e delle condizioni esistenti, a partire dalle modifiche all’art 18, il demansionamento, la videosorveglianza.

Rassegna Tanto lavoro atipico, nei vostri comparti…

Gabrielli Non solo. Certamente in questa precarietà c’è tanto lavoro atipico, le false collaborazioni, le false associazioni in partecipazione; c’è il dramma delle partite Iva che camuffano il lavoro subordinato, il lavoro nero, il grigio e così via. Ma nella nostra categoria ci misuriamo continuamente con una precarietà che è data anche dai tanti contratti part-time “obbligati”, cioè non scelti volontariamente ma che rappresentano spesso l’unico modo che a molti si offre per poter lavorare. Magari si tratta anche di contratti a tempo indeterminato ma con orari – e relativi salari – spesso molto ridotti e che condizionano i giovani nel creare prospettive certe per il futuro. Per questo nel terziario la riduzione delle tipologie contrattuali di cui si parla nel Jobs Act, pur essendo fondamentale, non basta a dare risposte a una condizione molto variegata e complessa di precarietà come quella che in estrema sintesi ho descritto.

Rassegna Nel Jobs Act si pone molta enfasi sulla riforma ed estensione degli ammortizzatori sociali. Un tema che dovrebbe riguardarvi molto da vicino, visto che i vostri settori, quando va bene, sono coperti dalla cassa in deroga, che però è esposta a mille incertezze.

Gabrielli È indubbio che nei nostri settori, anche quando si parla di estensione delle tutele, la situazione è molto particolare. Non abbiamo soltanto un problema di soglia dimensionale. Lo stesso nodo della copertura degli ammortizzatori sociali lo subiamo sia per le piccole aziende – che sono tantissime – sia per le realtà di grandi dimensioni che, pur superando 100 o 200 dipendenti, in caso di difficoltà non hanno gli stessi strumenti di copertura del settore industriale. Senza considerare, ovviamente, tutti quei lavoratori precari che sono esclusi dalle tutele.

Rassegna Il problema riguarda le risorse previste, un miliardo e mezzo l’anno, che non sono sufficienti per coprire tutte queste situazioni?

Gabrielli Certamente c’è un problema di risorse: quanto si intende investire per coprire tutte queste realtà. Poi il governo ci deve anche dire dove e come andare a reperire le risorse – che devono essere significative – necessarie per un effettivo allargamento delle tutele. Ma non c’è solo questo sul tappeto. Quando si ragiona di ammortizzatori sociali dobbiamo anche necessariamente pensare a una seria riforma delle politiche attive del lavoro. Altrimenti il rischio è che il sistema non riesca a creare condizioni che permettano ai lavoratori di rioccuparsi. Il dramma più grande che si vive in Italia è che quando si perde un lavoro, non si presenta un’altra occasione e si è costretti, per tirare avanti, ad arrangiarsi o a lavorare al nero. Quindi, quando si riformano gli ammortizzatori sociali bisogna anche pensare di dotarsi di un sistema efficiente di politiche attive del lavoro e, naturalmente, di puntare sulla formazione, che è essenziale per la rioccupabilità. In generale io penso che il tema dell’estensione dei diritti – e all’interno di questo capitolo colloco il capitolo degli ammortizzatori sociali – rientra tra le priorità per poter parlare della qualità e della dignità del lavoro e, dunque, della vita delle persone. Per questo, la vera emergenza è quella delle politiche di investimento e di sviluppo per creare lavoro a cui né il Jobs Act né i provvedimenti in discussione danno risposte.

Rassegna Tra le complessità dei settori che la Filcams rappresenta c’è anche la situazione contrattuale. A che punto siete con i rinnovi, in una fase di crisi profonda come quella attuale?

Gabrielli Abbiamo recentemente sottoscritto le ipotesi di accordo dell’acconciatura ed estetica e del pulimento artigiano, ma abbiamo ben 11 tavoli contrattuali aperti. Alle difficoltà “tradizionali” delle trattative si aggiungono le divisioni all’interno delle associazioni datoriali che rendono tutto più complesso. Rinnovare un contratto per operatori dello stesso settore dovendo discutere su più tavoli è un elemento di complicazione. Devi, infatti, gestire le trattative evitando effetti dumping dovuti a possibili condizioni economiche e normative differenti. Nel turismo, per esempio, abbiamo rinnovato solo il contratto con Federalberghi; quello, appunto degli albergatori. Attualmente abbiamo tavoli aperti importanti con la ristorazione collettiva, i bar e ristoranti, con Confindustria turismo, con Confesercenti turismo; sono in corso anche le trattative per il rinnovo del contratto multiservizi, un altro dei nostri grandi settori, tra quelli più colpiti in questi anni dagli effetti della spending review che ha prodotto un rallentamento nella trattativa e che rischia di condizionarla anche per il suo sviluppo. Poi c’è la situazione drammatica che riguarda gli operatori delle terme: il contratto è scaduto ormai da tre anni e non riusciamo ancora a costruire un percorso comune che porti a dare delle risposte a quei lavoratori. Anche la distribuzione cooperativa è ferma. E non dobbiamo dimenticare gli studi professionali, che rappresentano per noi una sfida importante: non soltanto perché il settore è cresciuto tanto, ma perché è uno dei comparti in cui si misura la politica di inclusività che caratterizza il filo conduttore delle politiche contrattuali della Filcams. Negli studi abbiamo molto giovani, alte professionalità: una serie di figure contrattuali sulle quali stiamo lavorando per provare a dare risposte innovative in materia di tutele e garanzie, per ricondurle nel ruolo che spetta loro: quello di un lavoro dignitoso e di qualità.

Rassegna Com’è, da questo punto di vista, la situazione nel terziario, l’altro grande vostro comparto?

Gabrielli Anche in questo caso una premessa: il comparto dalla fine del 2012 ha vissuto una scissione delle associazioni datoriali, il che ha provocato la costituzione di un ulteriore canale di confronto, quello della grande distribuzione organizzata con Federdistribuzione che si aggiunge a Confcommercio, Confesercenti e alla distribuzione cooperativa. Inoltre, come per molti degli altri settori, contrattare in presenza di normative non favorevoli al lavoro – come quelle intervenute negli ultimi anni – dell’art 8, l’assenza in larga parte di accordi sulla rappresentanza e sul diritto di voto dei lavoratori, è una ipoteca rilevante. Detto questo, a giugno non ci sono state le condizioni, almeno con Confcommercio, per arrivare alla definizione di un contratto nazionale: la trattativa si è di fatto arenata. Il rischio vero è che la grande crisi che stiamo attraversando – per la prima volta si registra anche il calo della vendita dei prodotti alimentari – porti imprese e associazioni datoriali, in assenza di politiche complessive per la ripresa, a cercare nel contratto nazionale un alleggerimento più generale dei costi del lavoro. Quindi il problema come sempre è quello di dover affrontare delle trattative in cui il tentativo è quello di scaricare tutto sul costo del lavoro, il che impedisce di offrire prospettive ai giovani e, insieme, produce un peggioramento delle condizioni di chi attualmente opera nel settore. Noi non crediamo a questi antidoti anticrisi e non possiamo condividere ricette che abbiano come unico effetto reale il peggioramento complessivo delle condizioni del lavoro. La situazione del paese però non aiuta: segnali di ripresa non ce ne sono e l’attuale deflazione per il commercio, come si sa, è un fattore mortale. Credo che non aiuterà neppure la discussione che in questo momento si fa sul Jobs Act e su tutto quello che gli ruota intorno, a partire dalla riforma dei modelli contrattuali che viene ventilata. Un’involuzione, quella in atto sui tavoli di trattativa, che mette sempre più in difficoltà il ruolo del contratto nazionale e che pone sicuramente alla Filcams e alla confederazione la necessità di una proposta di prospettiva.

Rassegna Torniamo ai giovani, quelli rappresentati dalla Filcams. Avete pensato a una strategia precisa per favorirne l’iscrizione al sindacato?

Gabrielli Non credo che qualcuno debba trovare una “ricetta” per avvicinare i giovani. Penso, piuttosto, che essi debbano avere spazi in cui potersi esprimere e anche, perché no, marcare le proprie differenze. Detto questo, è chiaro che bisogna fare molta attenzione, nell’esprimere le nostre idee, le nostre posizioni, ai linguaggi, alle modalità e alle aspettative che le nuove generazioni hanno rispetto al lavoro e alla vita, e che sono in parte diverse da quelle che avevamo noi. Dobbiamo provare a innestare questo cambiamento di approccio, naturalmente senza snaturare quelle che sono le idee e i valori della Cgil. Ultimamente abbiamo fatto una discreta palestra, che però non è stata sufficiente: questo è indubbio. Però una cosa la voglio dire. Quando ci si chiede, “dove era il sindacato in questi anni”, penso che forse, molto banalmente, per conoscere un po’ meglio le situazioni reali del mondo del lavoro, basterebbe passare un giorno in una nostra sede sindacale, in un ufficio vertenze o vicino a un nostro funzionario.
Lo dico senza presunzione. In questi anni abbiamo lavorato molto per salvaguardare il lavoro, abbiamo lavorato sul coinvolgimento dei migranti, e sui giovani. Certo, la Filcams ha un vantaggio: forse incrocia molti più giovani di altre categorie. Questo non vuol dire che gli spazi che abbiamo creato sono stati sempre sufficienti o che siamo riusciti a rappresentarli in ogni loro esigenza. Spesso abbiamo avuto anche delle esperienze in cui gli stessi giovani ci hanno posto aspettative all’interno di una certa azienda che per noi risultavano quasi incomprensibili. Come è una esperienza contrattuale non semplice quella di riunificare il modo del lavoro espresso da generazioni diverse evitando doppi binari e condizioni non omogenee. E tuttavia dobbiamo porci il problema, a partire dai modelli e linguaggi che devono andare oltre gli strumenti “classici” con cui operiamo e comunichiamo. Faccio su questo due semplici esempi: alcuni accordi di stabilizzazione di lavoratori atipici sono nati dai contatti che avevamo creato con Nidil sulla rete, e in alcune aziende le assemblee sindacali si svolgono solo in videoconferenza.

Rassegna Quali sono le modalità principali con le quali i giovani si avvicinano alla Filcams?

Gabrielli La casistica è varia. Indubbiamente la più ricorrente è quella della prima informazione. Molti giovani ci chiedono informazioni sul proprio contratto nazionale e sul contratto individuale: cosa prevede, i propri diritti, i doveri. Spesso si rivolgono a noi perché l’azienda dove lavorano ha iniziato a ventilare le prime ipotesi di crisi. Rispetto a queste esigenze, dalla nostra abbiamo un patrimonio importantissimo: i delegati sono prevalentemente giovani con una rilevante presenza di donne, e il nostro sindacato è un luogo in cui non solo venire per rivendicare ma anche per fare esperienze, condurre battaglie. Spesso i delegati giovani restano nell’organizzazione, le dedicano del tempo anche al di là del proprio luogo di lavoro e quindi dell’incarico da sindacalisti – diciamo così – che assolvono in azienda. Insomma, stanno dentro a un progetto e a un percorso. Non voglio negare una difficoltà in generale del sindacato a relazionarsi con i più giovani, ma la nostra esperienza è un segnale positivo: ci dice che tanti giovani stanno costruendo il sindacato insieme a noi.

Rassegna Un altro terreno su cui la Filcams è impegnata in prima fila è quello del lavoro nei giorni di festa, liberalizzato da Monti come strumento per rilanciare i consumi. Avete fatto una campagna massiccia, su questo tema, “La festa non si vende”. A che punto è la questione?

Gabrielli Il bilancio conferma un’opinione che avevamo già quando è stato emanato il decreto Monti sulle liberalizzazioni: un decreto molto ampio, con un pacchetto di proposte molto diverse. Alla fine si è concretizzata soltanto la liberalizzazione del settore commerciale, che, nelle intenzioni, doveva rispondere a un adeguamento agli standard europei, rendere possibile la concorrenza tra le imprese e, soprattutto, rappresentare un volano per creare occupazione. Ebbene, a distanza di tre anni, come noi avevamo detto subito, l’occupazione non è cresciuta; e quando l’occupazione è cresciuta è avvenuto solo per coprire i fine settimana, e quindi ha prodotto contratti o a termine o part-time a pochissime ore. Non solo: alcune di queste imprese hanno nel frattempo chiuso o sono state costrette, per salvaguardare l’occupazione, a ricorrere ai contratti di solidarietà o alla cassa integrazione.
Inoltre, questa liberalizzazione, per i risvolti organizzativi che ha avuto, ha portato a un generale peggioramento delle condizioni delle persone, con effetti molto pesanti sulla conciliazione dei tempi di vita con quelli di lavoro a partire dalle donne. Perciò in questi anni abbiamo cercato di trovare degli accordi a livello aziendale per riuscire a recuperare contrattualmente quel mix adeguato, che era saltato, tra le esigenze di vita e, appunto, le condizioni di lavoro. Tutto questo, naturalmente, è stato possibile solo in quelle realtà dove siamo riusciti a contrattare. Ma con i forti limiti imposti dal quadro legislativo in vigore che dà un’enorme libertà alle imprese di gestire in maniera unilaterale gli orari di lavoro.

Rassegna Ma non temete che questa battaglia possa sembrare di retroguardia rispetto ai mutamenti degli stili di vita delle persone?

Gabrielli No. È chiaro che le abitudini cambiano e che si può pensare, a certe condizioni, di tenere gli esercizi aperti anche la domenica; una condizione a cui non ci siamo mai opposti ma questo non vuol dire totale liberalizzazione. Altro che liberalizzazioni: io credo che in Italia il commercio, come altri settori, abbia bisogno di una regolamentazione e di un sostegno diverso per riuscire a uscire dalla situazione di crisi. E, soprattutto, di un equilibrio tra l’esigenza dei consumatori, delle imprese e dei lavoratori. Con tutti i suoi limiti, la legge Bersani, nel mix tra giornate di apertura e giornate di chiusura – che potevano essere anche scelte in virtù delle dimensioni e delle esigenze territoriali –, è stata storicamente una buona esperienza che in qualche modo aveva tentato di dare risposte a tutti i soggetti. E poi bisogna sfatare un altro luogo comune. In molte importanti città europee, anche turistiche, i negozi la domenica non aprono e, spesso, addirittura il sabato chiudono alle 18.00. Non mi pare che nessuno si scandalizzi per questo.

Rassegna Insomma, la vostra battaglia va avanti.

Gabrielli Certamente. In discussione c’è attualmente la modifica dei regimi delle aperture festive: da una proposta di chiusura su 12 festività, si è passati già a 6 giorni che, tuttavia, verrebbero scelti solo ed esclusivamente dall’impresa. Teoricamente, nulla può escludere che, ad esempio, un’impresa decida di restare aperta il 25 di dicembre o il 1° maggio. Insomma, un approccio di questo tipo può essere colto come un segnale ma non va nella giusta direzione.

Rassegna Cambiamo argomento. I centri commerciali sono realtà in cui uno a fianco all’altro coesistono grandi supermercati e piccoli negozi dove il sindacato non c’è. Avete mai provato a pensare modelli organizzativi sperimentali, magari con delegati di sito?

Gabrielli Sì, ci abbiamo pensato. Il tema è presente senz’altro all’interno del dibattito sulle politiche contrattuali sia della confederazione sia della Filcams. Abbiamo, infatti, anche avviato su questo un progetto europeo, con altre categorie e organizzazioni sindacali di altri paesi. La ricostituzione delle filiere e un’inclusività che passi anche attraverso la contrattazione di sito è una sfida. Però presenta una difficoltà oggettiva: siamo in presenza di una pluralità di soggetti che fanno capo a società completamente diverse tra di loro. Nel classico centro commerciale non hai solo la grande catena (che spesso risponde, tra l’altro, a una multinazionale, come il caso di Auchan o di Carrefour) e i piccoli negozi o quelli in franchising, ma i manutentori, le imprese di pulizia, di vigilanza, la logistica eccetera. E alcuni di questi soggetti magari sono anche fuori dall’ambito contrattuale della Filcams. Tutti fattori che rendono complesso un approccio contrattuale. Il punto è riuscire a garantire, nello stesso sito produttivo, risposte omogenee e stesse condizioni di lavoro: gli orari, a esempio, sono sicuramente un fattore che accomuna tutti coloro che operano all’interno di un centro commerciale, come i temi della salute e sicurezza. Credo che, pur con tutte le complessità la contrattazione di sito sia una delle risposte possibili a queste esigenze.

Rassegna Tra i drammi che affliggono i vostri settori c’è quello del lavoro nero. Ultimamente avete condotto una ricerca sull’industria del turismo nella riviera romagnola. Con degli esiti sconfortanti: il caso più emblematico quello del cuoco pagato un euro a coperto…

Gabrielli Lavoro irregolare, grigio, nero e forme contrattuali atipiche che mascherano il lavoro dipendente purtroppo sono fenomeni molto diffusi. Il settore nel corso di questi anni ha anche subito grandi processi di esternalizzazione che hanno modificato la natura delle grandi strutture alberghiere. Tutto questo genera molto preoccupazione: parlare di un settore come volano di sviluppo senza guardare alla qualità del lavoro è stridente. Quindi la nostra campagna di denuncia contro il lavoro nero va avanti, ma accanto a questa azione bisogna puntare alla qualità del lavoro e dello sviluppo. L’ultima iniziativa che abbiamo lanciato nei giorni scorsi partendo da Lecce, Jobs Art, va proprio in questa direzione: noi crediamo al grande potenziale inespresso, in Italia, del turismo che passa, ovviamente, non solo dalla manutenzione del patrimonio ambientale e monumentale ma anche dalla valorizzazione della cultura.

Rassegna In un’epoca in cui sembra che ricominci a prevalere la forza sulla ragione, con le armi che risuonano alle soglie di casa nostra, torma in mente un’antica aspirazione della Filcams che era quella dell’organizzazione dei lavoratori delle basi Nato, luoghi in cui la Cgil ancora non può entrare. Continuerete questa battaglia storica?

Gabrielli I lavoratori delle basi Nato, oggi, non sono liberi di poter scegliere l’organizzazione sindacale da cui vogliono farsi rappresentare e che vogliono al tavolo di trattativa nel momento in cui si discute il loro contratto, c’è una vertenza o comunque delle questioni in ballo che li riguardano. Credo che tutto questo sia quanto meno anacronistico. Continueremo a essere loro vicini. Intanto per la prima volta lo scorso 17 ottobre si è riunito il coordinamento dei lavoratori delle basi Nato da Sigonella a Camp Derby che, in qualche modo, guardano alla Filcams come a un loro punto di riferimento. È un dato importante da cui rilanciare una nostra battaglia storica.