“La nostra prima valutazione sarà più articolata quando avremo un testo per capire esattamente di che cosa stiamo parlando. Al momento ci sembra più una semplificazione e una manutenzione che un disboscamento, per utilizzare le parole dello stesso governo. Le uniche forme che il ministro Poletti si propone di abolire sono l'associazione in partecipazione e il 'job sharing', mistero della fede quest'ultimo se sia mai stato applicato in natura”. E' stata questa la valutazione del segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, al termine del tavolo presso il Ministero del Lavoro sul decreto del Jobs Act di riforma delle tipologie contrattuali, in Cdm venerdì. “Rispetto a quell'attenzione sulle forme maggiormente precarizzanti - aggiunge la dirigente sindacale - siamo stati sostanzialmente delusi. Alla nostra obiezione sulla sostanziale conferma delle tipologie esistenti, il ministro ci ha risposto che sulla precarietà non si può intervenire col 'bazooka' perché si fa un buco enorme ma che l'intervento sarebbe stato fatto col bisturi. A questo punto è stato facile replicare che invece sul tema dei licenziamenti si è intervenuti col' bazooka', nessuno si è posto in questo caso il problema del buco enorme che si creava”.

Per la Cgil, “non c'è sostanzialmente una coerenza tra l'enunciazione e la pratica, almeno per quello che abbiamo riscontrato oggi. C'è per noi un elemento devastante: l'allargamento del lavoro accessorio che è l'unica forma di lavoro che non è subordinato, e quindi non è contrattualizzato, e che oltre tutto senza diritti e non prevede la parità di trattamento. Le collaborazioni avranno un cambio nominale ma ci sarà comunque una disciplina del lavoro autonomo, non definita e non si accenna ai diritti per questi lavoratori. Stanno studiando la differenza tra la nozione di subordinazione e lavoro autonomo. Ci diranno qual è l'esito di questo studio. Per il resto confermano il quadro esistente”. In definitiva, conclude Sorrentino, “la nostra prima valutazione sarà più articolata quando avremo un testo per capire esattamente di che cosa stiamo parlando. Al momento ci sembra più una semplificazione e una manutenzione che un disboscamento per utilizzare le parole dello stesso governo. Abbiamo poi ribadito la nostra contrarietà sul contratto a tutele crescenti che liberalizza i licenziamenti mentre l'unica cosa che ci è sembrato rilevare come elemento di positività è relativa all'articolo 7 sugli appalti: su questo punto stanno studiando una soluzione, probabilmente quella norma verrà cambiata”.

Dopo l'incontro di oggi si dovranno quindi verificare i testi definitivi. Il ministro Poletti ha fatto sapere che per il contratto a tempo determinato resterà il limite massimo di durata di 36 mesi, ma ha anche precisato che quelli discussi nell'incontro al ministero "sono solo gli orientamenti del suo dicastero. È possibile quindi, visto che non c'è stata ancora discussione in sede di Consiglio dei ministri, che siano poi tradotti diversamente nel Cdm di venerdì". Poletti ha voluto anche precisare che il governo Renzi si è impegnato a provocare un cambiamento del modo di pensare “attraverso una operazione per orientare una mole notevole di contratti verso il contratto a tutele crescenti".

Il problema però è proprio questo. Il Jobs Act era nato infatti con i migliori propositi: affrontare la piaga della precarietà eliminando la linea di divisione tra lavoratori di serie A e di serie B, obiettivi condivisi e sostenuti dalla Cgil. Si è rilevato però col tempo “un provvedimento che indebolisce la funzione della contrattazione, con effetti devastanti sul piano sociale”, come ha ricordato alla vigilia dell'incontro di oggi con il ministro Poletti (18 febbraio) il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, che ha ricapitolato tutti gli aspetti e le criticità del Jobs Act durante un incontro promosso martedì dall'Isfol. Ma a quanto pare più che la legge 183 (il Jobs Act) è la legge di Stabilità ad aver indicato la direzione di marcia. Il riferimento è, in questo caso, “alla riduzione strutturale delle risorse destinate al lavoro; al fatto che vincoli molte più risorse ad un sistema perverso di incentivazione, come quello dell'esonero contributivo sul nuovo contratto a tutele crescenti; al delegare alle imprese il tema della ripresa degli investimenti con la contestuale dismissione del ruolo dello stato in questo segmento”. Un orizzonte che si poggia su di un'altra gamba: la svalutazione del lavoro, sia nel pubblico che nel privato, che questo governo ha messo da subito in campo, a partire (rispettivamente) dal decreto Madia e poi da Poletti.

Intanto il ministro Poletti ha anche convocato per domani (19 febbraio) i sindacati sull'Agenzia unica per le ispezioni sul lavoro. L 'appuntamento è fissato per le 16,30 al ministero di via Veneto. Il governo dovrebbe quindi illustrare a Cgil Cisl e Uil il testo del decreto attuativo del Jobs Act di cui è circolata una bozza. Ma i sindacati del pubblico impiego hanno subito reagito criticamente e bollano come una ' patacca' il decreto sull'Agenzia unica per le ispezioni sul lavoro. I sindacati non si fermano alla critica, ma annunciano un presidio per il 20 febbraio (giorno del Cdm che dovrebbe esaminarlo) davanti al ministero del Lavoro. "E' un provvedimento patacca - si legge in una nota di Fp-Cgil, Cisl-Fp e Uil-Pa - che rischia di paralizzare tutto: nessuna semplificazione, nessuna garanzia sulle attività ispettive e di vigilanza, nessuna tutela per posti di lavoro e retribuzioni. E nessuna certezza sui controlli". Dobbiamo fermare questo sciagurato disegno - proseguono i sindacati - se i piani del Governo dovessero andare in porto, il danno sarebbe gravissimo, i lavoratori allo sbando, il Paese più debole e meno garantito'. I sindacati sottolineano di aver chiesto e proposto in tutte le sedi un vero piano di riorganizzazione che ' snellisse le procedure e rendesse più efficaci i controlli, valorizzando le professionalità di lavoratori ad altissima qualificazione. E lo ribadiremo anche domani all'incontro con il ministro Giuliano Poletti”.