A quattro anni dal suo coinvolgimento, la Confederazione internazionale dei sindacati, insieme alle centrali sindacali dei Paesi che partecipano alle trattative per il Partenariato Trans-Pacifico (TPP, nell'acronimo inglese), ha chiesto di interrompere le trattative e di promuovere un nuovo mandato che metta al primo posto le persone e il pianeta.

Proprio in concomitanza con i vertici dell'APEC, a Pechino, e dell'ASEAN, in Burma-Myanmar – che sono state occasione, da un lato, per un inedito rapporto tra Amministrazione Obama e Cina, guidata da Xi Jinping, e dall'altro per tentare il rilancio dell'accordo commerciale transpacifico che esclude, invece, la Cina – i sindacati hanno voluto chiarire la loro contrarietà ad un nuovo accordo di libero scambio che riduce la sovranità nazionale e mette in serio pericolo i diritti ambientali, sociali e del lavoro. Il negoziato TPP coinvolge 12 paesi affacciati sull'Oceano Pacifico, tra Asia, America Latina e Oceania: Australia, Brunei,Canada, Cile, Giappone, Malesia, Messico, Nuova Zelanda, Perù, Singapore, Stati Uniti e Vietnam.

Nonostante sembri che il capitolo sul lavoro del negoziato Partenariato Trans-Pacifico abbia alcuni elementi di esigibilità – come tradizionalmente richiesto dai sindacati per i trattati commerciali - l'ITUC e i sindacati dei paesi interessati non credono che questo sia sufficiente (anche se davvero approvato, cosa tutt'altro che certa) per dare il via libera al TPP. Infatti, il testo trapelato del TPP contempla un meccanismo di risoluzione delle controversie Investitore-Stato (ISDS), una protezione più restrittiva della proprietà intellettuale, una (de)regolamentazione della “coerenza delle politiche e delle norme” e altre preoccupanti disposizioni che i sindacati hanno spiegato in un comunicato stampa e in una lettera inviata ai governi interessati (vedi traduzioni allegate).

Il capitolo sul lavoro (come si presenta ora sul tavolo negoziale), inoltre, non copre tutte le norme fondamentali del lavoro dell'ILO e il diritto del lavoro sub-nazionale non rientrerebbe nel campo di applicazione dell'accordo. L'esperienza pratica, per di più, ha dimostrato che i governi sono stati sempre riluttanti ad applicare i capitoli sul lavoro.

Insieme alla Confederazione Internazionale dei Sindacati, le centrali sindacali nazionali che sostengono questa posizione sono: ACTU, Australia; CSN e CSD, Canada; JTUC-RENGO, Giappone; UNT, Messico; NZCTU, Nuova Zelanda; CUT e CAPT, Perù; AFL – CIO, Stati Uniti. Alcuni di questi sindacati, come pure i sindacati la CUT del Cile) e MTUC della Malesia avevano chiesto di interrompere le trattative già in una fase precedente.