Gli Ires di cinque Regioni hanno svolto una ricerca con lo scopo di mappare la realtà esistente dei Servizi pubblici locali (acqua, rifiuti, trasporti, distribuzione del gas) nei diversi territori presi a campione, comparando la governance dei sistemi locali e aprendo uno sguardo sull’Europa, lasciando intravedere tendenze importanti anche per le scelte che il nostro Paese deve compiere. Il rapporto 2015, che sarà presentato il 14 luglio a Verona (qui il programma), parte con il confronto dei modelli di struttura nelle cinque Regioni che hanno partecipato all’indagine (Emilia Romagna, Toscana, Marche, Umbria e Veneto). Lo strumento fondamentale per il confronto è il censimento di tutti i gestori presenti nei quattro settori per ciascuna Regione: la banca dati, capillare e annualmente aggiornata, costituisce, di per sé, uno dei principali valori aggiunti della ricerca. I diversi modelli di struttura sono stati valutati in base a quattro coppie di variabili: integrazione, frammentazione-regolazione, spontaneismo-logica di servizio, logica finanziaria.

Le cinque Regioni considerate presentano situazioni molto differenziate tra loro. Emilia Romagna e Toscana hanno una forte regolazione regionale, ma con diverse strategie: la prima ha compiuto il processo di integrazione attraverso la costituzione di due grandi multiutility quotate; la seconda è in avanzata fase di realizzazione attraverso gare d’ambito a doppio oggetto su base monosettoriale. Dal canto loro, Marche e Umbria presentano assetti molto frammentati, con sensibile presenza di soggetti privati, e stanno avviando un processo di integrazione a regia regionale. Infine, il Veneto, con bassa regolazione della Regione (che tende a delegare tale competenza ai Comuni), presenta un originale modello di integrazione a rete, basato sull’autonoma spinta propulsiva dei gestori, nella loro generalità a totale partecipazione pubblica.

La normativa nazionale di settore, dopo un periodo di scarsa chiarezza, tende gradualmente a stabilizzarsi, in particolare attraverso due tra gli undici decreti legislativi approvati nel Consiglio dei ministri del 20 gennaio 2016: il decreto sulle società a partecipazione pubblica e quello sui Servizi pubblici locali di interesse economico. In estrema sintesi, il primo decreto prevede che i Piani di razionalizzazione di cui alla Legge di stabilità 2015 devono essere redatti in modo continuativo, con cadenza annuale; il secondo, nel confermare l’orientamento di sfavore verso gli affidamenti in house, prevede misure premiali a favore degli enti locali che adottino procedure a evidenza pubblica per gli affidamenti e/o procedano a fusioni e/o aggregazioni tra i soggetti gestori.

Le tendenze innovative nello scenario dei Servizi pubblici locali – dopo un periodo di dinamismo durato fino al 2014 – si sono attenuate, tanto che il 2015 si è caratterizzato come un anno di attesa, sostanzialmente per due ordini di motivi: il primo è che la generalità degli operatori necessitavano di prendere posizione rispetto agli annunciati decreti di riordino del settore; il secondo attiene al progressivo intensificarsi delle resistenze sul territorio ai progetti di fusione e/o accorpamento societario che erano stati progettati. L’unico processo rilevante che si è concluso, in una Regione non compresa nella presente indagine, è l’offerta pubblica d’acquisto del 51% delle azioni di Lgh da parte di A2A. E tuttavia, non si può escludere l’eventualità che, anche per decisioni locali a oggi non prevedibili, possano avvenire mutamenti di assetti azionari o vendite a soggetti più consolidati.

Per completare la riflessione sui diversi modelli di struttura è molto significativo aggiungere quanto riportato nel capitolo “Uno sguardo sull’Europa” (che si ritiene costituisca un altro rilevante valore aggiunto della ricerca). I settori idrico, igiene urbana e trasporto locale, analizzati lo scorso anno in Francia e Germania, sono ora stati esaminati anche in Regno Unito e Spagna. Le quattro realtà esaminate sono molto differenziate tra loro. La Francia presenta nel settore idrico un assetto frammentato e, al contempo, un oligopolio di grandi multinazionali private, tendente a parziale ripubblicizzazione. Nell’igiene urbana raccolta per metà pubblica e per metà privata, smaltimento a prevalenza privata. Nel trasporto pubblico locale oligopolio di alcune grandi multinazionali, sia pubbliche che private.

La Germania presenta un sistema basato su grandi multiutility a livello locale, prevalentemente pubbliche, ma talvolta private e miste, in un contesto consociativo e poco trasparente, con tendenza alla riduzione delle aree privatizzate nei settori idrico e dell’energia. Nel Regno Unito vi è una gestione in prevalenza privata, con forte controllo pubblico da parte di autorità indipendenti su tariffe e standard di servizio. In Spagna si riscontra un assetto misto pubblico-privato, con una prevalenza del pubblico nelle aree urbane maggiori, e dei privati nei centri minori. Il mercato è piuttosto concentrato.

Al di là delle rilevanti differenze, due elementi, in sintesi, appaiono particolarmente significativi: tutte le nazioni esaminate presentano standard qualitativi molto elevati, talvolta con differenze rilevanti rispetto alla situazione media italiana (l’aspetto più rilevante del ritardo italiano, di cui si parlerà più avanti, è costituito dalle procedure di infrazione da parte dell’Unione europea); in tre nazioni su quattro (e cioè in Francia, Germania e Spagna) la strategia di settore ha consentito l’emergere di grandi aziende nazionali (sia private che pubbliche), che sono riuscite a diventare delle vere e proprie multinazionali (Regno Unito e Italia presentano invece un mercato molto frammentato, senza grandi aziende capaci di operare fuori confine).

Di seguito, si riportano le considerazioni di sintesi più significative per ciascun settore. Per quanto concerne l’idrico, l’Italia presenta perdite in rete stabilmente superiori al 30%, contro un massimo del 20% negli altri Paesi, e soprattutto una quota di abitanti serviti da reti fognarie e impianti di depurazione tra il 70 e l’80%, contro il 99-100% degli altri Paesi. Pertanto, la problematica più rilevante che devono affrontare i gestori italiani è il completamento o l’adeguamento alla normativa delle reti fognarie e dei depuratori, oggetto di 1.008 procedure di infrazione da parte dell’Ue (per il 70% nel Sud), che in 133 casi si sono già concluse con condanne. A causa di tali inadempienze, l'Italia dovrà pagare a partire dal 2016 480 milioni l'anno di sanzioni, a cui seguiranno 288 milioni l’anno, fino a quando si rientrerà nei limiti delle norme europee.

I consistenti investimenti necessari per risolvere il problema si riflettono inevitabilmente in rincari tariffari, anche rilevanti. Non solo. Occorre sottolineare che il livello medio delle tariffe in Italia è nettamente inferiore a quello dei Paesi europei più avanzati. Tuttavia, sussistono molte difformità, sia tra diverse Regioni, sia a livello di ambito e di gestore, che risultano difficilmente comprensibili. In particolare, appare impropria e poco comprensibile la diffusa pratica di distribuire dividendi da parte di aziende del settore, sia pubbliche che a parziale partecipazione privata. Tale pratica riguarda principalmente l’Emilia Romagna e la Toscana. Entrambe le Regioni hanno tariffe molto elevate (superiori alla media nazionale) e distribuiscono cospicui dividendi che solo in quota, anche se maggioritaria, vanno ai Comuni.

Nel settore dei rifiuti si parla quasi sempre soltanto dei rifiuti solidi urbani. Eppure il pesante contenzioso dell’Ue nei confronti dell’Italia riguarda prevalentemente i rifiuti speciali, originati da attività industriali. L’Italia ha già pagato una sanzione di 82 milioni di euro per la mancata chiusura, bonifica e messa in sicurezza di 155 discariche abusive di rifiuti speciali (di cui 120 nel Sud). Se la situazione non verrà regolarizzata, si dovranno pagare altri 62 milioni annui. Ma la situazione italiana nell’igiene urbana è molto variegata: soprattutto nel Nord-Est è eccellente, in linea con le più avanzate esperienze europee.

Un aspetto rilevante della presente indagine, con specifico riferimento ad alcuni dei territori oggetto di analisi, riguarda l'orientamento strategico di Hera in materia di rifiuti. Alcuni recenti atti societari e la composizione dei ricavi fanno ipotizzare che il focus strategico di Hera è la fase di smaltimento piuttosto che quella di raccolta. Tutti i 78 impianti del gruppo sono stati collocati nella società Herambiente. Più recentemente, nel 2015, i termovalorizzatori di Trieste e Padova sono stati scorporati da Acegas Aps e collocati all'interno di Hestambiente, partecipata al 70% da Herambiente e solo al 30% da Acegas Aps. Il business di Herambiente è costituito in maggioranza dai rifiuti speciali (51%), mentre i rifiuti solidi urbani sono scesi al 49%.

Per quanto concerne il trasporto pubblico locale, la principale evidenza che emerge dall’indagine, come del resto dalle precedenti, è la perdurante crisi strutturale del settore in Italia, che riguarda in misura quasi analoga tutte le Regioni. In Italia, a differenza di Francia, Germania, Spagna, e anche Regno Unito, pur nella diversità dei modelli strutturali, mancano efficaci politiche di sviluppo per il settore e una fiscalità di sostegno, viene privilegiato il trasporto privato rispetto a quello pubblico, sono quasi inesistenti le logiche intermodali, programmatiche e tariffarie (sia per quanto concerne l’integrazione ferro-gomma, che per quella urbano-suburbano).

I confronti con le altre nazioni sono impietosi. Soprattutto la Francia e la Germania, puntando al trasporto pubblico hanno costituito i più grandi operatori mondiali nel settore e sviluppato anche un’importante filiera industriale nell’indotto. Tuttavia occorre anche avere contezza che le aziende pubbliche di trasporto in Italia sono spesso inefficienti (spesso al di sotto degli standard Ue), con numero e costi degli addetti sproporzionati, e che spesso vengono utilizzate come approdo comodo e dorato per gli esuli della politica attiva.

Le due Regioni pilota nella trasformazione del settore sono la Toscana e l’Umbria: entrambe hanno individuato un gestore unico regionale, la prima scegliendo tramite gara uno dei più grandi operatori francesi (Ratp), la seconda affidando la gestione al principale gruppo intermodale italiano. Come dichiarato in sede di aggiudicazione definitiva, ci vorranno un paio di anni per vedere i risultati del nuovo approccio e stilare i primi bilanci. È comunque arduo ipotizzare che semplici meccanismi di aggregazione possano risolvere anni di ritardi e problemi mai seriamente affrontati a livello nazionale. Il rischio di ulteriori acquisizioni da parte di multinazionali del settore (principalmente francesi e tedesche), ammesso che di rischio si tratti, è sempre piuttosto elevato. Salvo improbabili mutamenti di scenario, di cui peraltro a oggi non si ravvisano tracce, la previsione è che il settore del trasporto pubblico locale prosegua, sia a livello regionale che nazionale, nel suo progressivo degrado.

Per quanto concerne il settore della distribuzione del gas, l’anno (il 2016) che appariva come quello dell'inaugurazione della stagione delle gare, sembra confermarsi come l'ennesima occasione di rinvio. A riprova, l’articolo 3 della legge 25 febbraio 2016 n. 21 (che ha trasformato il decreto “Mille proroghe” del dicembre 2015) ha prorogato i termini per le gare della distribuzione del gas da 9 a 14 mesi, a seconda degli Atem.

Giuseppe Barba è ricercatore dell’Ires Veneto