Una buona scuola dice il governo. Una scuola giusta dice il sindacato. Ma, al di là degli attributi, è certo che la scuola ha bisogno di ripensare se stessa. Vorremmo dire di riformarsi, se questo termine non avesse ormai assunto un significato ambiguo e addirittura opposto al suo etimo. I settori della conoscenza sono stati il bancomat dei governi di centro-destra. Il berlusconismo si è alimentato di banalizzazioni e disprezzo della cultura e del pensiero critico – e purtroppo se ne vedono le conseguenze – quindi vedeva di malocchio una scuola inclusiva, libera, aperta alle sperimentazioni e al rinnovo dei contenuti. Le “riforme” Moratti e Gelmini hanno imposto una scuola povera di risorse e depauperata di contenuti, selettiva, autoritaria anche con il personale che si è tentato in tutti i modi di umiliare e demotivare. È una storia nota che ha colpito anche l’istruzione universitaria e la ricerca.

Si sperava nel cambio di maggioranza, prima nel governo “dei professori” e poi, dopo la breve parentesi di Enrico Letta, in quello del giovane Renzi. Siamo consapevoli che un sistema di istruzione rimasto ingessato per oltre quindici anni non si cambia con un colpo di bacchetta magica. Va avviato un processo di conoscenza, prima di tutto, della situazione tramite l’ascolto con i protagonisti, gli attori della scuola: i docenti, i dirigenti, il personale Ata, gli studenti, le famiglie, gli enti locali. E poi, visto che cuore strategico del funzionamento della scuola è il lavoro, con le rappresentanze sindacali, dalle Rsu alle organizzazioni di categoria. Tutti interlocutori con tanto da dire e da proporre. E poi costruire proposte e progetti secondo priorità. Ma l’ascolto, il confronto, la condivisione sono termini che non hanno sede nella politica leaderistica, fatta di annunci, tweet, salottini televisivi. Il piano del governo per una buona scuola nasce con questo difetto di autoreferenzialità. Un difetto che non sembra si voglia correggere. Questo è l’antefatto, il contesto. Ora veniamo ai contenuti.

Il piano per una buona scuola presentato dal governo è suggestivo. Poggia su impianto generale in molti punti condivisibile. È nei dettagli della sua realizzazione che perde molto del suo taglio innovativo. E nell’assenza di investimenti, di disponibilità di risorse fresche. La bozza di legge di stabilità conferma le preoccupazioni che le grandi affermazioni di principio non siano poi suffragate dai fatti. La Flc ha subito detto che il progetto scuola del governo ha di positivo l’annuncio di copertura di tutti i posti docente attualmente vacanti con un piano straordinario di 150 mila assunzioni a cominciare dal prossimo anno scolastico. Si tratta, per la maggior parte, di posti attualmente coperti con supplenze, cioè da docenti precari che da anni e anni sperano nel rinnovo del contratto annuale. Sono lavoratori con una professionalità ormai consolidata dall’esperienza, in maggioranza pluriabilitati, ma sono anche quelli che passano ogni anno da scuola in scuola o da classe in classe interrompendo, loro malgrado, la continuità didattica. Parte di queste assunzioni, inoltre, andranno a coprire il normale turn over. Ricordiamo che abbiamo gli insegnanti più vecchi d’Europa. L’altro aspetto positivo, coerente con l’idea di una scuola che rinnova le tecniche didattiche, è la creazione di un organico funzionale di scuola. Significa che ogni scuola, singolarmente o in rete, potrà contare su un team di docenti non solo per supplenze di breve durata, ma soprattutto per intervenire a sostegno di particolari progetti che ampliano l’offerta formativa. Con questo il piano prende il meglio di buone pratiche già sperimentate dalle scuole all’indomani dell’introduzione dell’autonomia. Interessanti sono anche le indicazioni per lo sfoltimento di procedure burocratiche che, inutilmente, gravano sulle scuole e per la trasparenza e la certezza del flusso dei finanziamenti. Tutte questioni che il sindacato poneva, inascoltato, da anni.

Il piano scivola penosamente contraddicendo anche se stesso laddove pretende di regolamentare nei particolari ciò che, per sua natura, deve essere flessibile, come ad esempio lo stato giuridico e la carriera dei docenti, questioni di chiara natura contrattuale. E non certo per un vezzo del sindacato, ma perché lo strumento contratto è più funzionale rispetto alla rigidità della regolamentazione per legge. Non dovrebbero dimenticare i nostri frettolosi riformatori che al centro della grande riforma della pubblica amministrazione avviata tra gli anni ’80 e ’90 (e successivamente affossata da Brunetta, Sacconi & co.) c’era proprio la delegificazione del rapporto di lavoro. Chi ha risposto finora al sondaggio online della Flc (anche il sindacato sa essere 2.0), che mette a confronto le proprie proposte con quelle del governo, ha saggiamente indicato (oltre l’80 per cento) che le materie di lavoro vanno regolate per contratto. Inaccettabile è anche l’idea che ci possa essere una valutazione meritevole solo per il 66 per cento dei docenti, producendo una divisione innaturale in un mondo, quello delle scuole, dove la regola è invece quella del lavoro cooperativo, dell’inclusione. Il piano la buona scuola è discutibile anche per ciò che omette, essendo in questo meno completo della proposta Flc. Non si parla di obbligo scolastico che, per essere in linea con i paesi più avanzati, dovrebbe essere portato a 18 anni. E invece abbiamo dovuto subire interventi sperimentali estemporanei come la riduzione di un anno delle scuole superiori. Con quale obiettivo? Spingere più presto i ragazzi verso un lavoro che non c’è? Mandarli più presto a un’università diventata per molti troppo cara? Quello che davvero non si riesce a fare capire che interventi parziali e calati dall’alto sulla scuola sono deleteri.

L’altra omissione, frutto di un’errata concezione della scuola, riguarda il personale Ata (Amministrativo, tecnico e ausiliario). Sono coloro che lavorano nelle segreterie, si occupano cioè di amministrazione, organizzazione, gestione, rapporti con le famiglie; sono i tecnici, quelli addetti, tra l’altro, ai laboratori informatici; sono gli ausiliari, i tanto trascurati “bidelli”, che, tra le tante mansioni, hanno quella dell’accoglienza e anche quella di seguire nei bisogni più elementari gli alunni disabili. Non tenere conto di questo personale è sbagliato ed è incoerente con lo stesso impianto del piano del governo. Si prefigura una scuola che funziona tutto il giorno, aperta al territorio, con una didattica laboratoriale, quindi non limitata alla lezione frontale: come si può pensare che tutto questo pesi sulle spalle dei docenti, anzi solo sul 60 per cento dei docenti ritenuti meritevoli, e sui dirigenti che devono controllarli? Una scuola così ha bisogno di un’organizzazione funzionante e competenze organizzative e gestionali che non possono stare in capo ai docenti. Né si può pensare che queste competenze siano affidate ai computer, come dice il piano confermando l’ulteriore riduzione di posti tra il personale Ata.

Nella grande consultazione che il governo ha lanciato sul web non è lasciato grande spazio all’approfondimento. Questo tipo di consultazioni lasciano il tempo che trovano. Una riforma di questa portata non si liquida con sì o con un no, con un “mi piace” e “segnala a un amico”. Infatti, questa ampia e costosa campagna ha riscosso poco successo soprattutto fra coloro che la scuola la vivono quotidianamente. Con il “Cantiere sulla scuola” la Flc ha presentato una proposta completa che ha inviato alla ministra, alle commissioni parlamentari auspicando l’avvio di una discussione che non c’è stata. L’atteggiamento di questo governo nei confronti del sindacato è noto. Dunque decideranno, ancora una volta, da soli. Le riforme, condivise o meno, hanno comunque tempi lunghi, mentre la scuola vive ora pesanti emergenze. Anche queste sono state presentate in un recente, deludente incontro con la ministra Giannini.

Nel quaderno delle priorità figura al primo posto il rinnovo del contratto, dietro il quale non c’è solo il problema retributivo ma anche quello di una revisione degli ordinamenti e dei profili professionali. E poi ancora la sistemazione dei finanziamenti che arrivano alle scuole parcellizzati in mille voci: la Flc propone un unico canale, lasciando alle scuole di deciderne in autonomia l’uso. La semplificazione dei rapporti tra scuole e amministrazione, anche facendo funzionare meglio i sistemi informatici, spesso fonte di appesantimento invece che di alleggerimento del lavoro. E poi ci sono tutte le storture provocate da dimensionamento della rete scolastica, la difficoltà con cui si è avviata l’educazione degli adulti, la questione degli appalti per le pulizia, i bandi di concorso per dirigenti e direttori amministrativi. La scuola è fatta di grandi e piccoli problemi che quotidianamente si presentano e – più o meno quotidianamente – devono trovare soluzioni, correzioni, cambi di rotta. Per questo non funzionano ricette confezionate astrattamente, per questo c’è bisogno di partecipazione e cooperazione, per questo c’è anche bisogno della competenza del sindacato.

* Edizioni Conoscenza