Timida, lenta, contraddittoria: così appare la “ripresina” che sta segnando l’uscita dal tunnel della crisi del settore delle costruzioni. A dirlo sono la Fillea Cgil e Fondazione Di Vittorio, presentando oggi (giovedì 12 aprile) a Roma, presso la sede della Cgil nazionale, il secondo Rapporto sull’andamento delle costruzioni in Italia. Un settore che nel 2017 ha rappresentato il 9,6 per cento del Pil italiano, impiega circa 1 milione e 300 mila occupati e impegna il 46 per cento di tutti gli investimenti in conto capitale del Paese.


Il Rapporto analizza i dati economici, le potenzialità, gli investimenti, i cambiamenti nel mercato del lavoro e nelle forze di lavoro, il dumping contrattuale, le criticità su cui intervenire per dare impulso a una ripresa vera del settore. A discuterne sono stati chiamati Tiziano Treu (presidente Cnel), Franco Martini (segretario confederale Cgil), Alessandro Genovesi (segretario generale Fillea Cgil), Fulvio Fammoni (presidente Fondazione Di Vittorio), Giuseppe Travaglini (professore Università di Urbino Carlo Bo), i ricercatori Serena Rugiero e Gianluca De Angelis.

Diamo subito qualche buona notizia: tornano a crescere gli investimenti, il Margine operativo lordo delle imprese e la loro redditività (+5 per cento). Risalgono anche gli indici di produzione per i settori collegati, l’indice dei permessi di costruire e il mercato immobiliare. A trainare la “ripresina” è senza dubbio la spesa per la riqualificazione del patrimonio abitativo, grazie alle detrazioni fiscali per ristrutturazioni, spese migliorative e riqualificazione energetica. Un numero su tutti: la quota di ristrutturazioni attivate dagli incentivi è passata dal 16 per cento del 2007 (9 miliardi) al 40,7 del 2016 (28 miliardi), investimenti che hanno attivato mediamente 270 mila posti di lavoro. Dal 2013, con il variare degli incentivi, l’impatto sull’occupazione è stato ancora maggiore (400 mila posti nel 2016).

Crescono anche gli investimenti pubblici (+10,4 per cento nel 2016 sull’anno precedente, +23,9 nel 2017 e +26,2 nel 2018), anche se continua a restare molto larga la forbice tra risorse allocate e quelle realmente spese.
L’edilizia è da sempre un “volano” per l’intera economia, i suoi effetti moltiplicativi sono noti. Anche qui un numero che spiega tutto: 1 miliardo di euro investito nelle costruzioni ha una ricaduta sul sistema economico per 3,5 miliardi e per l’occupazione fino a 50 mila posti di lavoro (di cui 12 mila direttamente nel settore delle costruzioni).


Più complesso, invece, è il tema dell’occupazione. Nel 2016 gli occupati erano 1 milione 346 mila, il 5,91 per cento del totale italiano, con qualifiche mediamente più basse. Diminuiscono di poco gli autonomi a beneficio del lavoro subordinato, quest’ultimo composto per oltre il 15 per cento di contratti a termine. Non aumentano le forze di lavoro, ma le ore: negli ultimi due anni la gran parte dei lavoratori attivi è stato impegnato oltre le 36 ore settimanali. La contraddizione appare evidente. Da un lato la domanda va sempre più concentrandosi in segmenti specifici (come la manutenzione straordinaria, il risparmio energetico, l’anti sismico, la rigenerazione urbana, l’uso di nuove tecniche costruttive e nuovi materiali), dall’altro lato le imprese continuano a preferire le basse qualifiche, oppure a non riconoscere le reali professionalità rispetto alle declaratorie contrattuali, non investendo sulla crescita qualitativa delle maestranze.

A complicare le cose intervengono altri due fattori. Il primo è la quota importante di lavoro nero e grigio, come registrato anche dal Rapporto dei Servizi ispettivi 2017. Il secondo è la grande difformità tra i dati Istat e il sistema bilaterale edile, a testimonianza di un’importante “fuga dal ccnl dell’edilizia”. Questa fuga avviene in due modi: l’affermarsi del lavoro autonomo, che il sindacato chiede di portare dentro il sistema bilaterale per “farlo emergere”, includendolo anche dal punto di vista delle tutele, a partire dalla formazione e dalla sicurezza; la mancata applicazione del ccnl edile, pur dichiarando i lavoratori che svolgono tale attività (dumping contrattuale).

La fuga dal contratto nazionale è un tema che va ulteriormente approfondito. Basti un numero: le 120 Casse edili avevano a settembre 2016 604 mila iscritti: dove sono tutti gli altri 700 mila indicati dall’Istat? E ancora: la Fillea stima (su dati 2017) in almeno 150 mila i lavoratori dipendenti cui si applicano altri ccnl, pur dichiarando i lavoratori di svolgere mansioni tipiche dell’edilizia. 
Ed è per contrastare questa “fuga” e il dumping contrattuale, che Fillea, Filca e Feneal hanno lanciato nel febbraio scorso la proposta di legge “Stesso lavoro stesso contratto”.

Il Rapporto, in conclusione, offre un focus sulle malattie professionali.
 Dalle rilevazioni della Fillea emerge un aumento non solo in termini percentuali, ma anche in termini assoluti nel comparto dell’edilizia: rispetto al 2011, nel 2016 le malattie denunciate sono cresciute del 21,2 per cento. Una tendenza dovuta a più fattori: la maggiore azione del sindacato e del patronato in materia (in particolare per quanto riguarda l’esposizione all’amianto e i tumori professionali), l’invecchiamento relativo della popolazione (anche alla luce delle riforme previdenziali e dell’allungamento dei tempi per andare in pensione), i rischi che alcune innovazioni di prodotto o processo tendono ad accrescere, come il “rischio chimico”, dovuto al forte incremento nell’impiego di materie di sintesi e di origine nanotecnologica nel processo edilizio.