Con i primi segnali di ripresa tornano a crescere i morti sul lavoro. Le cause sono le stesse di quarant’anni fa: caduta dall’alto, sfondamento parapetti e collasso impalcature, ribaltamento mezzi, schiacciamento, soffocamento da fumi e vapori. In particolare l’edilizia è tra i settori più colpiti non solo per l’uso di nuove sostanze e leghe, ma anche e soprattutto per le modalità (sbagliate) di organizzazione del cantiere e del lavoro. Da qui occorre partire, anche alla luce (vedi ultimo rapporto Fillea e Fondazione Di Vittorio) di una “ripresina” che si va caratterizzando in edilizia più che per un aumento degli occupati per un aumento delle ore lavorate pro capite: emerge cioè un minore tasso di investimenti fissi (in nuovi macchinari, eccetera) e un maggior sfruttamento del lavoro. Se a questo aggiungiamo la presenza consistente di lavoro irregolare, false partite Iva e oltre 150 mila edili a cui si applicano altri contratti nazionali diversi, per tutele e strumenti bilaterali, ecco evidenziarsi “il contesto” di un modello di impresa già in sé “ad alto rischio”.

È quindi giusto ricordare che sono la ricerca del massimo profitto e la mancanza di innovazioni nei sistemi di impresa che portano a competere riducendo tutele e investimenti in sicurezza, ma è altrettanto importante evidenziare come queste tendenze si concretizzano banalmente nell’aumento dei carichi di lavoro, tempi e metodi che stressano i lavoratori, assenza di contrattazione. Certo, possiamo poi vedere nell’affidamento dei lavori secondo una logica di ribasso (molto presente soprattutto nei settori privati) uno dei motori che spingono questo stress, possiamo vedere nell’invecchiamento dei lavoratori una delle cause di aumento del rischio (stare su un impalcatura a 65 anni non è lo stesso che a 40), sicuramente maggiore presidio del territorio con funzioni di controllo, repressione e consulenza farebbe solo bene.

Detto tutto ciò, dobbiamo però anche interrogarci su cosa possiamo fare noi, parti sociali, oltre la denuncia (sempre giusta). Sapendo che di esperienze contrattuali positive ne abbiamo molte, che di Rls e Rsu oltre che quadri e militanti impegnati notte e giorno sul punto, ne abbiamo tanti e bravi. Da qui dobbiamo ripartire: come ricordato il Primo maggio, occorre rimettere al centro un’azione di sistema per rendere esigibile il Testo unico sulla sicurezza, agire le diverse leve presenti nel Codice degli appalti pubblici – scommettendo sulle possibilità premiali che tale codice contiene (da qui i diversi accordi fatti con Anas, Mit, Comuni e Regioni varie, grandi stazioni appaltanti) –, qualificare le politiche di prevenzione in un rapporto virtuoso tra Inail, Ispettorati, Asl e Rls e Rlst, magari valorizzando di più tutto un sistema bilaterale (in edilizia parliamo dei Cpt e delle scuole edili) affinché formazione specifica, erogazione dei Dpi, assistenza alle imprese per la corretta organizzazione del cantiere siano sempre più pratiche diffuse.

Questo rimanda all’azione sindacale: alla capacità di agire sull’organizzazione del lavoro, su come si produce e su come si organizza il luogo di lavoro, cantiere o fabbrica che sia, tenendo conto delle specificità delle lavorazioni, dell’ambiente esterno, delle professionalità presenti. Abbiamo coordinate importanti: la piattaforma unitaria di Cgil, Cisl e Uil varata nell’ultima Assemblea nazionale degli Rls, l’accordo del 9 marzo 2018 con Confindustria, la stessa discussione in Cgil sulla corretta definizione e rispetto dei perimetri contrattuali, della correlazione tra lavoro realmente svolto e tutele collettive. L’obiettivo deve essere quello di riappropriarci di una strumentazione che riparta prima di tutto dall’organizzazione del lavoro, e dalla frammentazione di impresa, e quindi dal rapporto tra carichi di lavoro, mansioni, sistema di prevenzione, formazione e informazione più specifico per agire in quella determinata organizzazione. Organizzazione che inizia dal sopralluogo del cantiere, dalla corretta organizzazione di impalcature e disposizione dei mezzi di sollevamento e movimento, fino alla pianificazione – attraverso il responsabile di cantiere per la sicurezza e il suo rapporto con i Cpt e gli Rlst – del “cantiere di qualità”.

La stessa Fillea Cgil, unitariamente, ha messo in campo una serie di proposte articolate: dalla proposta “stesso lavoro stesso contratto” per ricomporre nel cantiere tutele, prevenzione, formazione, organizzazione di uomini e mezzi, dando attuazione puntuale allo stesso articolo 30 c. 4 del Codice appalti (oggi non a caso sotto tiro da parte di chi vuole meno regole, meno controlli e meno qualità, aziende e liberisti in primis) fino alla proposta della patente a punti e alla più generale esigenza di qualificare, attraverso il sistema bilaterale, il ciclo degli appalti privati (perché è soprattutto tra questi che, non essendoci limiti al subappalto, non essendoci limiti al distacco di manodopera vi è oltre il 90% degli infortuni). Magari prendendo il criterio “dell’attinenza ma anche delle condizioni di miglior favore in termini di formazione sicurezza” come riferimento anche per la discussione che dovremmo aprire con Cisl, Uil e Confindustria per la definizione del cosiddetto “contratto leader”.

Tutto ciò è parte fondamentale della strategia più generale della Cgil in tema di lavoro (Carta dei diritti), in tema di intervento pubblico in economia (Piano del lavoro), in tema di previdenza (superamento della Fornero perché i lavori non sono tutti uguali) e da quella della Fillea in materia di congruità e legalità a partire da un (faticoso) rinnovo del contratto che valorizzi qualificazione di impresa e del sistema bilaterale. È dal nostro “mestiere” di sindacalisti che dobbiamo ripartire.

Alessandro Genovesi è segretario generale Fillea Cgil
Franco Martini è segretario confederale della Cgil nazionale