Roma - La Cgil ha deciso di “costruire la carta dei diritti universali e poi di sostenerla col referendum” perché era l’unico strumento per cambiare direzione e fermare il degrado del lavoro in Italia. L’ha spiegato oggi (10 marzo) il segretario generale della confederazione, Susanna Camusso, concludendo l’assemblea nazionale dei delegati della Flc (la federazione della conoscenza) che si è svolta a Roma.

“Bisogna tornare indietro a due anni e mezzo fa – ha ricordato Camusso conversando con Roberto Mania di Repubblica – , quando il governo decide di fare l’ennesima legge sul mercato lavoro, e decide, imitando il governo tecnico precedente, che non deve discuterne con nessuno, perché loro hanno la verità mentre i cosiddetti corpi intermedi sono dei frenatori della verità”.

A quel punto “ci siamo mobilitati, abbiamo fatto scioperi, manifestazioni, ma ci siamo convinti di una cosa: ci voleva un atto di rottura più forte rispetto a quelli della tradizione sindacale, per segnare che o si cambiava davvero direzione, oppure non si fermava il degrado”.

 

“C’era bisogno di costruire un messaggio immediato – ha spiegato ancora il segretario –. Abbiamo scelto di stare con gli ultimi, con quelli che stanno sul gradino più basso della scala della precarietà che è stata costruita. Se l’unica strada è la discesa – ha aggiunto –, questo paese non ce la fa, visto che continua a degradare.

Prosegue Camusso: “Ci siamo detti: se abbiamo la forza di questa proposta, dobbiamo avere anche la forza di utilizzare strumenti che non siano usuali ma che abbiano una caratteristica: quella di permetterci di stare insieme alle persone, di provare a ricostruire anche dal basso l’idea che il lavoro è il tema centrale in questo paese. E abbiamo trovato un paese che pensa molto di più al lavoro di quanto non faccia la politica”.

Perché, si chiede il leader della Cgil, “ci siamo dimenticati che può esserci un modello alternativo al liberismo? Ne abbiamo ereditato tutte le modalità, accettiamo il modello e proviamo a correggerne giusto qualche virgola”. Ma per il sindacato la questione fondamentale sulla quale spendersi è che “se il lavoro non è di qualità, questo paese non riparte. E perché il lavoro sia di qualità, le persone devono essere libere nel lavoro, se tutto è basato sul fatto che sei ricattato, che puoi essere cacciato via, che il lavoro dura poche ore, pochi giorni, come si fa a pensare che stiamo investendo sul lavoro?”, ha chiesto ancora Camusso.

I voucher, per il segretario generale della Cgil, “sono esattamente l’espressione di questo, sono l’invenzione del fatto che tu hai un rapporto di lavoro senza avere un contratto”. I voucher come strumento nel loro complesso, chiarisce Camusso, perché “non c’è un abuso dei voucher, c’è invece una normativa che dice alle imprese italiane: potete sostituire il lavoro con delle persone che ricevono i voucher. Quando un’azienda della grande distribuzione paga coi voucher, non sta violando nessuna norma di questo paese”: è questo il grande scandalo del mercato del lavoro italiano, il guasto strutturale da correggere col referendum.

Perché – spiega ancora Camusso - “il lavoro occasionale non può stare dentro l’organizzazione d’impresa, che non può vivere di occasionalità. Una famiglia sì, può ricorrere ai voucher, ma quel fenomeno riguarda il 3% dell’utilizzo dei voucher. Tutto il resto è sostituzione di lavoro”.

Quanto all’ipotesi di correzione concordata nella Commissione Lavoro alla Camera, l’opinione in casa Cgil è che quelle correzioni non bastano: “Quello strumento (i voucher, ndr) è diventato malato – ribadisce Camusso –, non è sufficiente dargli l’aspirina. La pura logica riduttiva, come dimostra la discussione in Commissione, non toglie di mezzo la sostituzione del lavoro. L’impresa a zero dipendenti è un concetto che devono spiegarci, una sorta di mistero della fede. Le innovazioni previste in Commissione restano sempre nella dimensione strutturale della precarietà nel mercato del lavoro. Non sono risposte ai quesiti al referendum. Bisogna invece trovare un altro strumento che regoli il lavoro occasionale. C’è anzi un’ulteriore ghettizzazione delle figure deboli di questo paese. Ci sono venuti i brividi – racconta Camusso – quando abbiamo visto comparire la parola ‘disabili’ tra coloro che possono utilizzare i voucher. Non va bene procedere di marginalizzazione in marginalizzazione”.

A Corso Italia predomina quindi il pessimismo sulle modifiche legislative ai voucher, che secondo alcuni potrebbero rendere non necessario il referendum. Inoltre – ricorda ancora il segretario generale - “siamo chiamati a due quesiti referendari, non uno. Ci sono anche gli appalti. Se siamo lontani dalle ragioni del referendum non potremo che confermarlo alla Cassazione. Se invece parlamento e governo aboliscono i voucher e risolvono il tema della responsabilità solidale degli appalti, allora applaudiremo, ma non siamo a quel punto”, precisa Camusso.

Quanto al rischio che il referendum non raggiunga il quorum, Camusso ha ricordato che “il precedente referendum sull’acqua l’ha raggiunto, quello sulle trivelle no. Cosa mi dice questa esperienza, insieme a quella del referendum costituzionale dello scorso 4 dicembre? Che la convinzione che le persone non partecipano mai non è scontata. La partecipazione è legata alle questioni che proponi, è legata all’idea che il voto abbia un’efficacia: una democrazia deve sempre scommettere sulla partecipazione. Non è scontato avere il quorum – conclude il segretario generale Cgil –, ma lavoriamo per averlo, e fare partecipare il paese è un esercizio straordinario e utile, perché sennò il lavoro non avrà mai più un ruolo centrale nel paese”.

LA GIORNATA
Contratto, precari, investimenti in istruzione e ricerca,
riapertura di una grande discussione pubblica sulle priorità del paese rispetto al mondo della conoscenza. Ecco le sfide dei prossimi mesi per la Flc Cgil rilanciate dall'assemblea nazionale dei delegati. “Il contratto è uno strumento potente e noi vogliamo riconquistarlo: non si può stare in trincea di fronte a chi mercifica lavoro e sapere”, ha esordito il segretario generale del sindacato della conoscenza, Francesco Sinopoli. Dopo nove anni di blocco della contrattazione del pubblico impiego, aggiunge, “abbiamo bisogno di rilanciare un'azione collettiva con tutti gli strumenti che abbiamo a disposizione”. Riuscire a imporre nell'agenda politica i due referendum sul lavoro è un primo modo per invertire la rotta. “Volevamo i referendum anche contro l'odiosa legge 107 (la riforma della scuola voluta dal governo Renzi, ndr) e per poco non ci siamo riusciti. Ma oggi rilanciamo la battaglia per abrogare quella norma all'interno di una grande campagna per restituire dignità al lavoro e al paese. Serve innanzitutto un grande investimento pubblico nei settori dell'istruzione e della ricerca, il mondo che consente davvero al paese di avere una speranza”. L'altra grande partita da giocare, ha aggiunto Sinopoli, “è il tentativo di rimettere al centro l'idea che la scuola deve rispondere a disuguaglianze crescenti, creare cittadinanza, essere uno strumento di integrazione”.

Le disuguaglianze nel lavoro penalizzano i laureati, il loro contratto e il loro salario, oggi tutto va nella direzione di abbassare il costo del lavoro”, osserva nel suo intervento l'economista Michele Raitano, che insegna Politica economica all'università la Sapienza di Roma. Il mercato del lavoro premia i laureati? “Studiare serve, non c'è dubbio, ma purtroppo anche i più istruiti devono sperimentare lunghi periodi di lavoro parasubordinato: chi inizia a lavorare da laureato con un contratto a termine, nel 60 per cento dei casi sperimenta una stabilizzazione entro 6 anni, però il mercato del lavoro è talmente fragile per cui spesso si ricade indietro nella precarietà o nella disoccupazione. E anche per le retribuzioni il mercato non premia più i laureati come nel passato”. Più in generale, osserva Raitano, “con i voucher è passata l'idea che un'ora di lavoro al lordo possa costare dieci euro, forse anche meno, con diritti previdenziali praticamente inesistenti. Lo spostamento di potere tra lavoratore e imprese in aziende come Foodora è gigantesco, con l'aggravante che si fa passare come una forma di estrema modernità”. Lo scenario è quello del Jobs Act. “Crollano le assunzioni nette a tempo indeterminato e non aumentano le stabilizzazioni, crescono solo i contratti a termine”, fa notare Marta Fana, economista presso l'istituto di studi politici di Parigi. Nelle attività professionali scientifiche e tecniche la quota dei contratti a tempo indeterminato è appena il 16 per cento, quella dei precari il 37. Anche chi lavora si impoverisce: la quota dei working poor è passata dal 18 per cento nel 1990 a quasi il 30 per cento nel 2013.

(a cura di M.M. e D.O.)