Il testo che segue è la sintesi dell’articolo pubblicato nel n.1-2017 de La Rivista delle Politiche Sociali. Gli abbonati possono leggerlo qui in versione integrale. Questo è invece il link alla rubrica che Rassegna dedica alla stessa Rivista

In Italia i più importanti programmi di politiche abitative pubbliche sono stati attuati negli anni cinquanta-settanta, tra questi significative sono state le esperienze dei piani Ina-Casa e di edilizia economica e popolare. Con la prima legge di riforma sulla casa (legge 22 ottobre 1971, n. 865) si istituisce l’Edilizia residenziale pubblica (Erp), parte integrante del sistema di welfare; in seguito il dpr 30 dicembre 1972 n. 1036 affida in via esclusiva agli Istituti autonomi case popolari (Iacp) la gestione dei programmi di edilizia residenziale pubblica, sopprimendo gli altri enti pubblici operanti nel settore. Negli anni novanta, al fine di coniugare gli obiettivi tradizionali dell’Erp con quelli del recupero urbanistico, edilizio e ambientale, si sviluppano i Piani integrati di intervento, i Programmi di riqualificazione urbana e le esperienze partecipative dei contratti di quartiere.

Con la crisi economica il numero di persone che non può accedere al bene casa si è ampliato; si è reso necessario promuovere una strategia complessiva che riconosca la centralità dell’edilizia residenziale pubblica e sociale; diventa prioritario, pertanto, allargare l’analisi a quelle politiche che consentono alle persone di inserirsi stabilmente nel contesto sociale. Le Regioni, a seguito del decentramento di competenze, sono chiamate a programmare i finanziamenti da destinare alle politiche abitative e agli interventi per l’edilizia sociale; gli ex Iacp hanno assunto un ruolo strumentale nei confronti delle Regioni stesse.

In questo scenario, il territorio appare l’ambito più idoneo a realizzare risposte efficaci ai bisogni attuali e potenziali della persona, a tal fine i Comuni sembrano essere i soggetti più capaci di generare nuovi modelli di governance, caratterizzati dall’interazione tra pubblico, privato e sociale; modelli che richiedono l’attuazione di politiche place based. L’attuale crisi sta generando un aumento delle situazioni di fragilità, in particolare la stretta connessione tra questione abitativa e coesione sociale richiede agli enti di edilizia pubblica di fornire risposte tempestive con un approccio globale al tema del “diritto all’abitare”.

In questa prospettiva, negli ultimi venti anni, a livello locale si stanno attuando alcuni interventi innovativi volti a promuovere processi di inclusione sociale nei quartieri; tra questi significative sono le esperienze di mediazione sociale abitativa e di mix sociale. La mediazione sociale, diffusa negli Stati Uniti e in alcuni Paesi europei, è influenzata dagli accadimenti della fase storica in cui si realizza ed è orientata verso modalità basate soprattutto sulla risposta ai bisogni sociali emergenti. In Italia gli interventi di mediazione sociale hanno origine a partire dalle esigenze dei territori, pertanto si sono sviluppati e diversificati sia in relazione al proprio oggetto di intervento, sia in termini di modalità operativa. 

Le misure basate sullo sviluppo di mix abitativo sono volte a ottenere una composizione variegata degli abitanti di un’area abitativa, in termini sociali, culturali, economici, demografici e di provenienza. In Italia le esperienze di mix sociale nei quartieri si sono sviluppate nell’ultimo decennio; in particolare, riguardo all’assegnazione degli alloggi di edilizia pubblica, alcuni enti hanno iniziato a includere, nei loro regolamenti, un’attenzione al mix sociale attraverso un processo di individuazione dei destinatari che assicuri la presenza di nuclei diversificati per composizione e categorie.

Nelle Marche, negli anni 2011-2016, sono stati realizzati, in collaborazione con l’Università Politecnica, alcuni progetti di mediazione sociale abitativa, progetti che hanno previsto l’introduzione di un mediatore, assistente sociale, in alcuni comuni della regione e presso l’Ente regionale per l’abitazione pubblica (Erap), con l’obiettivo di affrontare le problematiche abitative degli assegnatari Erap e di favorire la coesione sociale fra gli abitanti. A tal fine, sono stati individuati il modello di intervento e le azioni attuate dagli assistenti sociali nei contesti di edilizia pubblica; azioni orientate a sostenere le famiglie, prevenire la conflittualità e promuovere interventi volti a diffondere una cultura di convivenza sostenibile. 

La presenza del mediatore sociale presso l’Erap, inoltre, ha consentito di sperimentare l’introduzione del mix sociale nelle modalità di assegnazione dei nuovi alloggi in un quartiere del comune di Ancona. A tal fine è stato attuato un percorso di co-progettazione che ha favorito anche il coinvolgimento degli abitanti del quartiere, rappresentativi delle diverse realtà del territorio (associazioni, comitati, circoli, servizi sociali, istituzioni scolastiche, amministratori locali). Non solo: le azioni del mediatore hanno consentito l’attuazione di interventi sociali di prossimità, vicini ai contesti di vita delle famiglie, attribuendo maggiore centralità alle relazioni e avendo cura di dare legittimità alle domande inespresse. Appare sempre più necessario, pertanto, che i servizi stessi siano capaci di diventare più flessibili, per incontrare bisogni diversificati, riconoscere le risorse degli abitanti e orientare la propria azione a sostegno della partecipazione dei cittadini. 

A livello locale è necessario costituire strumenti di lavoro che siano in grado di favorire la partecipazione a nuovi soggetti, partecipazione che non si fermi alla mera consultazione ma che si traduca in una partecipazione in grado di produrre effetti vincolanti, sia nella fase di definizione delle policy, sia in quella di valutazione dei risultati. È essenziale, pertanto, che le esperienze di mediazione sociale attuate nei territori non restino a livello di sperimentazione, ma possano costituire uno strumento delle politiche, per favorire processi decisionali più vicini ai luoghi in cui si manifestano i bisogni e per una maggiore efficacia nella gestione dei servizi.

Carla Moretti è ricercatore in Sociologia economica presso l’Università Politecnica delle Marche