Dopo la proposta sui lavori gravosi, è arrivata anche quella di un nuovo sistema di calcolo che dovrebbe portare a scatti in avanti più soft dell’età pensionabile. E altre potrebbero arrivarne oggi (lunedì 13 novembre) nell’incontro decisivo tra governo e sindacati sulle pensioni: nei due vertici di mattina e pomeriggio a Roma (il primo tecnico, il secondo politico, quest’ultimo con il premier Gentiloni e i segretari generali delle tre confederazioni) l’esecutivo presenterà un progetto complessivo sulla previdenza. Cgil, Cisl e Uil, pur apprezzando le aperture, si attendono però molto di più: le distanze rimangono, in particolare sulla platea e i criteri necessari per accedere all'esonero dell'aumento dell'età pensionabile a 67 anni dal 2019.

La novità del terzo incontro “tecnico”, tenutosi giovedì 9 novembre, è quella di un meccanismo di calcolo dell’aspettativa di vita legato alle pensioni, che partirebbe dal 2021, in grado di ammorbidire o anche fermare temporaneamente l’incremento dell’età anagrafica. In pratica, il meccanismo terrebbe conto della media biennale della speranza di vita (compresi gli eventuali cali, che oggi invece sono esclusi), confrontandola con il biennio precedente, in modo da ricavare l’eventuale scostamento. “Unitariamente abbiamo considerato questa proposta un’apertura rispetto un tema che più volte abbiamo posto” ha commentato il segretario confederale Cgil Roberto Ghiselli, precisando però che “per attenuare il più possibile gli eventuali innalzamenti sarebbe meglio ampliare il periodo di riferimento su cui calcolare la media”. Ma il punto più critico della proposta è che non decorrerebbe dalla prossima scadenza del 2019, ma solo dal 2021: su questo, i sindacati hanno chiesto all’esecutivo “di sviluppare alcune modifiche sui coefficienti di trasformazione, visto che l’impatto dell’attesa di vita che cresce, non solo si scarica sull’allungamento del traguardo pensionistico ma anche sulla modifica, prima triennale, in futuro biennale, dei coefficienti di trasformazione”.

Sul resto dei punti, si diceva, le distanze permangono. A partire dalla platea dei lavori gravosi al momento individuati per essere esclusi dall'aumento a 67 anni (15 categorie, ossia le 11 dell’Ape social più le quattro nuove degli operai agricoli e siderurgici, dei lavoratori marittimi e dei pescatori, in totale circa 15-20 mila persone) e dai criteri di accesso al beneficio (36 anni di contribuzione). “C’è grande distanza, il governo ha fatto una proposta ridotta al minimo” ha spiegato Ghiselli. Una distanza “dettata da più aspetti: la platea riduttiva delle mansioni inserite, l’aver ipotizzato un esonero solo relativo alla pensione di vecchiaia e non anche alla pensione anticipata, i paletti relativi ai criteri che si vorrebbero adottare”.

La Cgil, inoltre, contesta le stime del governo sul numero delle persone (15-20 mila) che potrebbero essere escluse dall'aumento dell'età pensionabile a 67 anni nel 2019. Per Ghiselli le 15 categorie di lavori esclusi "sarebbero comunque una platea ben al di sotto di una soluzione accettabile". La stima, sostiene, il segretario confederale Cgil, è infondata poiché le pensioni di vecchiaia ai lavoratori dipendenti liquidate nel 2016 nel complesso sono meno di 60 mila (compresi gli assegni di vecchiaia ai dipendenti pubblici) e quindi è assai improbabile che le categorie considerate coprano circa un terzo di questi assegni. La gran parte delle pensioni liquidate (esclusi superstiti, invalidità, pensioni sociali e invalidi civili) sono quelle anticipate.

Ma le questioni da risolvere sono ancora molte. Cgil, Cisl e Uil insistono sulla mancanza di risposte sui temi pensionistici che riguardano in particolare i giovani, le donne e il lavoro di cura. Notevoli differenze si registrano anche sulla previdenza complementare: per i sindacati la proposta del governo su questo argomento “è insufficiente e incoerente con gli impegni assunti”. C’è poi, infine, la questione della proroga dell'Ape social, che scadrà dopo il 2018: i sindacati “hanno proposto – precisa Ghiselli – l’utilizzo delle risorse avanzate nel 2017, per finanziare lo stesso strumento nel 2018 e ipotizzare una proroga per il 2019”, ma questo punto la posizione del governo è stata “molto difensiva”.

In generale, dunque, si confermano le distanze rilevanti già emerse negli scorsi incontri. L’augurio della Cgil è che nei due vertici di oggi “si determino le condizioni per avere risposte vere”, conclude il segretario confederale Roberto Ghiselli: “Se così non fosse, unitariamente valuteremo i risultati del confronto e, per quanto ci riguarda, non avremo che l'unica strada che immaginiamo, quella di intensificare la mobilitazione”.