“Il governo ha più volte annunciato che il 2016 sarà l'anno della flessibilità per le pensioni. L'ha detto anche il ministro Poletti, senza però dare seguito ai proclami. A questo punto la mobilitazione diventa un elemento essenziale per sollecitare la convocazione di un tavolo e definire questa vertenza. La nostra proposta è chiara: una volta raggiunti i 41 anni di contributi, l'abbiamo scritto nella piattaforma in modo esplicito, si deve permettere l'uscita senza ulteriori penalizzazioni”. Nicola Marongiu, coordinatore dell'area contrattazione sociale della Cgil, spiega ai microfoni di RadioArticolo1 (qui il podcast) il senso delle centinaia di manifestazioni in programma sabato 2 aprile in tutta Italia: “Cambiare le pensioni, dare lavoro ai giovani”, questo lo slogan scelto da Cgil, Cisl e Uil.

Attualmente la proposta più accreditata in Parlamento è quella presentata da Cesare Damiano che prevede un meccanismo combinato: 41 anni senza penalizzazioni e, per la pensione anticipata, una penalizzazione che arriva fino all'8% se si esce quattro anni prima dei 66. “Noi pensiamo che la penalizzazione – osserva Marongiu – sia insita nel sistema di calcolo e non debba ricadere soltanto sul lavoratore. In qualche modo il sistema deve farsene carico”.

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La proposta di fermarsi ai 41 anni di contributi risolverebbe anche il problema dei lavoratori precoci: “Il tema è di una certa gravità – sottolinea Marongiu –. In tutte le assemblee che abbiamo fatto per la Carta dei diritti, anche quelle unitarie, ci sono persone che hanno iniziato a lavorare intorno ai 16, 17 anni e che si ritrovano oggi a 57 e 58 anni con il requisito contributivo che gli potrebbe permettere di andare a pensione, però non possono per andare per l'incastro con l'età anagrafica. Bisogna sedersi e discutere, guardare ciò che ha prodotto la riforma Fornero rispetto agli equilibri dei conti pubblici e ciò che invece deve essere restituito al lavoro. Serve una prospettiva più ampia, pare che lo riconoscano gli stessi Monti e Fornero autori della riforma”.

“Al problema dell'età si aggiunge il blocco della perequazione – aggiunge il sindacalista –. L'equilibrio dei conti pubblici raggiunto forzatamente nel 2011 ha prodotto un risparmio in prospettiva quantificabile intorno agli 80 miliardi di euro e oggi permette al governo una certa flessibilità che non gli impedisce di fare alcuni interventi: sceglie dove intervenire e non ha scelto di farlo sulle pensioni”.

C'è poi la questione che i lavori sono diversi. La vita dell'avvocato e quella dell'edile non sono la stessa cosa. “Su questo vogliamo introdurre un ragionamento, che poi andrebbe sviluppato in termini scientifici, sul fatto che il premio pensionistico viene parametrato all'attesa di vita che dipende anche dall'attività lavorativa svolta. Servirebbe anche a limitare gli incidenti sul lavoro. Pensare che tutti i lavori siano uguali mi pare una eccessiva semplificazione”.

Le manifestazioni di sabato parleranno anche ai giovani. “Se non si riesce a sbloccare l'uscita per il pensionamento – precisa Marongiu – diventa complicato l'ingresso nel mercato del lavoro. Ci si è provato con strumenti scarsamente utilizzati come la staffetta generazionale in alcune regioni, servono invece interventi più strutturali. Anche perché c'è il problema delle carriere discontinue e delle tipologie contrattuali più svariate”.

Su questo la Cgil ha avanzato qualche proposta per una pensione di garanzia. “C'è una discussione, anche tra alcune forze politiche, sull'esigenza di costruire un'altra gamba che poggi soltanto sulla fiscalità e che in qualche modo garantisca uno zoccolo a cui poi si aggiunge la pensione che deriva dei contributi e quella che deriva dalla previdenza complementare. Altrimenti – conclude – diventa complicato immaginare una prospettiva di carattere pensionistico per le giovani generazioni”.