Il 2 aprile in piazza, insieme ai sindacati confederali, per dire che il sistema pensionistico, così come è stato costruito negli anni non va bene, crea ingiustizie sociali, blocca il ricambio occupazionale impedendo ai giovani di inserirsi nel mondo del lavoro. La legge Monti-Fornero, con le sue rigidità, si è trasformata in una vera e propria fabbrica di “esodati”, cioè di lavoratori e lavoratrici rimasti senza alcun reddito, per effetto del brusco innalzamento dell’età pensionabile e dell’anzianità contributiva. Tanto è vero che dopo 7 provvedimenti di “salvaguardia”, già si invoca un ottavo decreto per consentire ad altre migliaia di persone di andare in pensione con le regole 2011, derogandole da quelle previste dalla Monti-Fornero. A questo si aggiunga la vergognosa norma sulle ricongiunzioni, rese onerose dalla legge 122/2010, con la quale si costringono i lavoratori e le lavoratrici  a pagare per la seconda volta i contributi, anche dopo anni e anni di onorato servizio, privato e pubblico. Un errore, considerato tale da tutti, ma che ancora non è stato corretto. L’Inca, che sarà in piazza insieme a Cgil, Cisl e Uil, rappresenta un angolo di osservazione delle tante incongruenze contenute nelle attuali regole pensionistiche. La storia di Giulia è emblematica di tante altre.        

Giulia ha 34 anni e 7 mesi di contribuzione in Inps e 9 anni in Inpdap; già nel 2011 aveva maturato 40 anni di contribuzione complessiva, ma per andare in pensione deve pagare la ricongiunzione. Nel luglio del 2014, pur considerando ingiusta l’onerosità, fa domanda all’Inps per poter sommare i versamenti nelle due casse previdenziali, quando oramai aveva raggiunto quota 43 anni e 7 mesi di contribuzione. L’esborso, per lei, non è così gravoso, come invece è stato per tanti lavoratori che da un giorno all’altro si sono visti recapitare dall’Inps lettere con la richiesta di somme ingenti, fuori dalla loro portata; tanto da indurli nella migliore delle ipotesi a rinunciarvi, oppure, nella peggiore, ad accettare la nuova condizione di disoccupato, avendo dato già le dimissioni. Da quando Giulia ha fatto domanda, sono passati altri due anni, ma ancora non ha avuto alcuna risposta dall’Inps. Nel frattempo, è costretta a lavorare, nonostante abbia raggiunto 45 anni e 7 mesi di versamenti. L’ufficio Inca, che ha in mano la sua pratica,  le fa sapere che l’operazione è ferma perché l’Inpdap non trasmette i dati e l’Inps non può fare i calcoli della sua pensione.  La sua storia si aggiunge alle tante altre che giungono alle orecchie attente del patronato della Cgil, presso cui si rivolge un numero crescente di persone, intrappolate dalle rigidità delle tante leggi pensionistiche, che si sono succedute negli ultimi anni, sempre più restrittive, su cui impera la famigerata legge Monti-Fornero. L’ultima riforma del 2011, infatti, approvata in fretta e senza alcun confronto con le parti sociali, ha definitivamente messo una pietra tombale sulle aspettative di quanti pensavano di poter andare in pensione dopo 40 anni di lavoro, a prescindere dall’età. Ora non è più così. In un crescendo infinito è stato costruito un meccanismo che costringe ogni lavoratore o lavoratrice, a rincorrere l’incrocio giusto tra l’innalzamento dell’età anagrafica, legata alla speranza di vita, e la contribuzione necessaria per maturare il diritto al pensionamento.

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Se si può parlare di merito, quello della legge Monti-Fornero è certamente di aver fatto entrare nelle case degli italiani la consapevolezza che il diritto al pensionamento bisogna sudarselo fino all’ultimo con l’affannosa ricerca del “numero magico” di contributi ed età.  Il diritto a pensione è una  formula complessa di dati; i lavoratori e le lavoratrici lo hanno imparato a loro spese, a cominciare dagli esodati…così come hanno acquisito, soprattutto i giovani, la consapevolezza che senza un lavoro stabile e regolare sarà difficile, se non impossibile, garantirsi una pensione dignitosa, scoraggiandoli fin dall’inizio della loro carriera a rimanere in Italia.

“La legge Monti-Fornero è un groviglio di regolette tanto stringenti da impedire qualunque ricambio generazionale nel mondo del lavoro – spiega Morena Piccinini, presidente Inca -. I fortunati di oggi, con un’occupazione stabile non possono lasciarla e chi è invece in cerca di un contratto regolare deve fare i conti con attività residuali e quasi sempre precarie. Una situazione che crea ingiustizie sociali gravi, tanto più pesanti, quanto più si è giovani. Per questa ragione, è un imperativo categorico  reintrodurre nel sistema pensionistico la flessibilità in uscita che consentirebbe non solo di restituire la libertà di ognuno di scegliere quando lasciare  il lavoro, ma anche di avviare un percorso virtuoso per dare la possibilità ai tanti giovani disoccupati di costruirsi una prospettiva positiva nel nostro paese”.

La dicono lunga le storie di…..(*)

Umbertonato nel 1961, dipendente della Teofan italy (azienda che produce pellicola di polipropilene per imballaggi) esce in mobilità con un accordo sindacale, decorrenza 23.11.2011.Andrà in pensione il 1 dicembre 2015. Come dice un vecchio proverbio, non dire quattro finché non l’hai nel sacco, in un batter d’occhi cambia lo scenario, la Legge Monti Fornero  gli impedisce l’uscita. Andrà in pensione nel 2022  a 67 anni per vecchiaia, salvo sperare in una nuova salvaguardia.

Graziella nata a settembre 1954, dipendente di un’azienda di servizi, esce con 30 anni di contribuzione. Il 30 settembre 2010 accetta di andare in mobilità, c’è un accordo sindacale in proposito. Nel suo progetto i tre anni di mobilità la porteranno vicina alla pensione di vecchiaia. Nel frattempo la Legge Fornero sposta per le donne il diritto alla pensione di vecchiaia, per Graziella da ottobre 2015 l’uscita diventa dicembre 2022. "Devo sperare - dice - che la Legge di stabilità preveda una salvaguardia anche per me. Leggo il Sole24ore come gli industriali, sperando di trovare la mia pensione".

Anna, nata a luglio 1955 dice: “anch’io ho qualcosa da dire riguardo alla Legge Monti/Fornero; intanto si chiama salvaItalia, se ha salvato l’Italia non lo so, non ha salvato certo me”. Dopo oltre 15 anni di lavoro in un maglificio che produceva maglieria di alta moda, importante e molto conosciuto, non solo a Perugia, mi sono trovata disoccupata. Due figli da crescere e la necessità di lavorare. Ho trovato lavoro in una agenzia immobiliare e in altre piccole aziende, poi, con mia grande soddisfazione è arrivata la Perugina, la Nestlè Italia, ma l’antico nome a noi della città ci piace di più. Per tutti lavorare alla Perugina era considerato arrivare al lavoro della vita, anche ora, anche da stagionale. Ora son sicura del futuro, son sicura di maturare una pensione decente che mi farà vivere una  vecchiaia serena, erano questi i pensieri di Anna quando nel 2002 iniziò a fare la stagionale presso Nestlè Italia. Il lavoro non è mai diventato stabile,  ma la disoccupazione, sommata ai mesi di lavoro completava l’anno, sia per il portafoglio, sia per la pensione. Le voci della crisi,  gli anni che passano mi fanno scoprire che la mia pensione si allontana sempre di più,  da agosto 2015, diventa novembre 2016 poi, grazie alla Legge Monti Fornero,  diventa ottobre 2022. Non ho gli anni per la pensione anticipata; non posso esercitare l’opzione donna perché non ho 35 anni di contributi e poi ora con la naspi (indennità di disoccupazione) non copro più neanche l’anno. Anna dice al telefono,  esasperata: "Se continua così e non si trovano vie d’uscita, è una tragedia che mi fa dire che la pensione la lascio a loro, così mangeranno su tutto".

(*) Queste storie fanno parte di una raccolta realizzata dalla Cgil Umbria su iniziativa di Vincenzo Sgalla, segretario generale regionale, con la collaborazione di Franca Gasparri, che per anni ha lavorato all’Inca nazionale.