È un fatto importante che il Concerto per Aldro si sia svolto, sabato 20 settembre, nella piazza del Municipio di Ferrara: una scelta che testimonia come la vicenda di Federico Aldrovandi riguardi tutti da vicino e per questo meriti un posto centrale. Un  luogo simbolo, la piazza, perché spazio per eccellenza destinato ai cittadini – l’evento in precedenza era stato organizzato dall’associazione Federico Aldrovandi Onlus all’ippodromo, a pochi metri dal punto in cui nove anni fa il diciottenne ferrarese venne ucciso durante un controllo di polizia –, e non casualmente da quest'anno compare il patrocinio del Comune. Musiche e parole indirizzate a Federico, pensate e cercate per legare il suo nome a qualcosa di bello come l’arte.

Patrizia Moretti è una mamma che con straordinario coraggio ha sacrificato il suo dolore intimo e privato e l’ha reso condiviso. “Oltre alla tragedia che ha toccato personalmente me, la famiglia e gli amici – dice Patrizia –, tutto quello che è accaduto a mio figlio ha assunto nel tempo un valore sociale. Il suo ricordo è un bene collettivo e mantenerlo positivo e presente, attraverso la musica che lui amava profondamente, serve a restituire quella dignità che gli è stata tolta”. Dello stesso avviso anche il papà Lino che a luglio ha scritto nel blog (qualche giorno prima della data del compleanno del figlio): “Federico ora è un po’ di tutti noi”.

Molti amici e tante persone, che pur non avendolo conosciuto lo portano nel cuore, si sono date appuntamento sabato pomeriggio nel centro della città estense. La manifestazione si è aperta con La donna che guarda le stelle a cura della compagnia teatrale I Vetrosi. Una pièce dedicata alla figura di una madre che, nel suo dialogo con l’alter ego incarnato dall’astrofisica, trova la forza di non arrendersi. Elisa Lolli, attrice e regista dello spettacolo, rivela quanto l’incontro con la Moretti sia stato una fonte di energia e ispirazione.

“Il nostro progetto è nato da una serie di fortunate coincidenze – afferma Elisa –, in qualche modo sotto una buona stella, credo. Insieme a Paolo Sola, coideatore dello spettacolo, abbiamo contattato Patrizia perché desideravamo fortemente il suo benestare e ci premeva, sopra ogni altra cosa, che lei fosse favorevole e ci appoggiasse. Abbiamo capito da subito la necessità di realizzare qualcosa di diverso dallo schema classico del teatro civile. Intendevamo raccontare questa storia senza replicare le fasi processuali, ma elevandola a una dimensione onirica”.

Sul palco si sono alternati quattro personaggi con alle spalle i musicisti, che insieme alle installazioni video hanno dato vita a un mix di suggestioni. “Mi sono orientata – prosegue la regista – seguendo l’idea di un mosaico composto da tessere che vengono accostate l’una accanto all’altra. Nella sceneggiatura ci sono numerosi rimandi a cose vere e ad altre inventate. Reali i riferimenti al travagliato iter giudiziario, com’è vera la passione di Patrizia per l’astronomia: infatti quando ci siamo trovate a parlare la prima volta in un bar mi ha detto che avrebbe voluto fare l’astrofisica e che il suo modello era Margherita Hack”.

“Mi rende felice – dice Patrizia Moretti – sapere che Federico possa continuare a vivere attraverso moltissime voci che ringrazio una per una. I ragazzi dell’associazione e tutti i presenti in piazza sono la risposta più autentica alla brutalità della sua morte”.

In questi anni complicati, tra processi e querele, la Moretti ha dimostrato una tenace determinazione. Si è impegnata parlando direttamente attraverso la sua pagina Facebook e rilasciando dichiarazioni ai media per non permettere che la scomparsa di suo figlio fosse derubricata come un decesso accidentale.

“Anche se ancora non è previsto in Italia il reato di tortura – prosegue – penso che le leggi presenti nel nostro ordinamento consentirebbero già una vera giustizia, se applicate correttamente. Incentivare la creazione di commissioni di vigilanza o di osservatori indipendenti sulla giustizia sarebbe utile e potrebbe fare la differenza”.

“Invece – sottolinea –, nei casi di reati o presunti tali commessi dalle forze dell’ordine, purtroppo si continuano ad affidare le indagini allo stesso corpo a cui appartengono le persone che hanno commesso il reato oppure spesso non vengono scelti tribunali di altre città per garantire la terzietà. Ora che il processo si è concluso voglio andare avanti e tornare a essere una mamma privata. Sono comunque contenta che la vicenda di Federico abbia acquisito una valenza collettiva, nonostante gli attacchi personali”.

Forse è davvero la memoria, in chiave costruttiva e gioiosa, l’unico modo per superare l’ingiustizia profonda per la quale un ragazzo di diciotto anni ha perso la vita mentre era sotto la custodia delle forze dell’ordine. Lo stesso destino assurdo che ha riguardato Stefano Cucchi, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Stefano Brunetti, Riccardo Rasman, Riccardo Magherini e gli altri non conosciuti dalle cronache.