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Nonostante l'opposizione di Stati Uniti e Israele, l’Assemblea generale dell’Onu ha votato a favore del riconoscimento della Palestina come "Stato osservatore". La risoluzione è passata nella nottata con 138 voti a favore, 9 contrari e 41 astensioni. Dal 1974 la Palestina era già "osservatore permanente" all’Onu come "entità". Ora invece sarà "osservatore permanente" in qualità di "Stato non membro".
Non è la prima volta. L’Assemblea Generale, infatti, non è il primo organo dell’Onu ad aver riconosciuto la Palestina: già l’Unesco, lo scorso settembre, aveva votato a favore. La richiesta all’Assemblea Generale era stata annunciata a inizio settimana dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, con l’ambizione di compiere un primo passo verso la creazione di uno Stato lungo i confini del 1967. A pochi giorni dalle tensioni violente esplose intorno alla Striscia di Gaza, l’occasione ufficiale della richiesta è stata il 65esimo anniversario dell'approvazione dell’Onu del Piano di partizione della Palestina (29 novembre 1947).
Tra gli europei prevalgono i sì, ma di misura: 14 si, 12 astenuti e un no. A favore hanno votato Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, alta, Portogallo, Spagna e Svezia. Astenuti invece: Bulgaria, Estonia, Germania, Gran Bretagna, Ungheria, Lettonia, Lituania, Olanda, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia. Ha votato a sfavore solo la Repubblica Ceca.
Eppure Bruxelles non sembra in grado di fare da contrappeso a Washington nella regione, l'unica forza in grado di smuovere le acque non è certo il Palazzo di Vetro ma rimane la Casa Bianca. Che ha votato no. Il primo mandato dell'Amministrazione Obama a dire il vero non ha certo giustificato le speranze riposte quattro anni fa per una rapida (nei limiti del possibile) soluzione "dei due Stati": e al momento, la posizione ufficiale americana rimane quella difesa anche da Israele, ovvero che da un coinvolgimento dell'Onu - passando così da un conflitto "privato" ad uno con un potenziale scenario internazionale, soprattutto da un punto di vista legale - il processo di pace ha poco da guadagnare.
Secondo il New York Times, che ha pubblicato un editoriale sul tema, il passaggio della risoluzione tuttavia non faciliterà la costituzione dello Stato palestinese, ipotizzabile solo attraverso un processo di negoziazione con Israele. Al contrario l’esito del voto mette la Palestina in condizione di potersi appellare alla Corte penale internazionale per indagare su eventuali crimini commessi da Israele durante il loro conflitto, aprendo un nuovo capitolo dello scontro. Il National Review, che si era schierato a favore del no, sostiene inoltre che il voto segni "la debolezza" del presidente Barak Obama e "metta in discussione la sua credibilità".
Ora, in ogni caso, alla luce del nuovo voto, la "statehood" palestinese infatti non cambia nulla sul terreno (di fatto, certificherebbe la creazione di uno Stato palestinese sulla cui necessità tutte le parti si dicono d'accordo) ma permetterebbe alla Palestina di aderire a tutte le istanze che dipendono dall'Onu come ad esempio la Corte Penale Internazionale: di qui la non semplice possibilità di coinvolgere i dirigenti dello Stato ebraico in processi relativi a crimini di guerra o contro l'umanità.
Un'iniziativa, questa, che creerebbe a Israele sicuramente dei danni di immagine - come già accaduto in occasione del "Muro di separazione", senza peraltro nessuna conseguenza pratica - ma che potrebbe anche essere sfruttata da un governo recalcitrante per bloccare ulteriormente il progresso dei negoziati: si spiega dunque lo sforzo da parte degli Stati Uniti e dei partner europei di convincere Ramallah a rinunciare a questa ipotesi.