La crisi non si attenua nelle Marche: crescono i disoccupati, diminuiscono le assunzioni, tra le quali solo una su dieci è a tempo indeterminato. È quanto emerge dai dati dell’Osservatorio Mercato del lavoro della Regione, elaborati dalla Cgil Marche, relativi agli avviamenti al lavoro registrati nel 2013.

Complessivamente nel 2013 si sono registrati 248 mila avviamenti al lavoro, 28 mila in meno rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente (-10,1 per cento), a fronte di 263 mila cessazioni, con un saldo negativo di 15 mila unità. Nonostante la contrazione delle assunzioni, non si è attenuato il processo di precarizzazione del lavoro: le assunzioni a tempo indeterminato rappresentano solo il 10,1 per cento del totale; dunque solo un’assunzione su dieci avviene per un lavoro stabile.

Il contratto maggiormente utilizzato è il contratto a termine che interessa oltre la metà delle assunzioni  (53,6% delle assunzioni). Seguono il contratto di somministrazione (13,3%), il lavoro intermittente (7,8%), il lavoro parasubordinato (7,1%) e quello domestico (4,5%).

L’apprendistato, che secondo le varie riforme del mercato del lavoro avrebbe dovuto essere la principale forma di ingresso nel mondo del lavoro per i giovani, rappresenta il contratto meno utilizzato (3,7% delle assunzioni). Al ridursi del ricorso al contratto di apprendistato corrisponde il forte ricorso ai tirocini formativi, il cui utilizzo nasconde troppo spesso vere e proprie forme di lavoro irregolare e non tutelato che penalizza soprattutto i giovani. In forte crescita anche il ricorso al lavoro occasionale e accessorio e l’utilizzo del voucher.

Questi sono numeri che descrivono un sistema produttivo frantumato dagli effetti della crisi e un mercato del lavoro stravolto da molteplici riforme a senso unico che hanno solo moltiplicato la precarietà. Sono dati che ci parlano della condizione ormai insostenibile per migliaia di lavoratori e lavoratici.

“Con questi dati – commenta Daniela Barbaresi, segretaria regionale Cgil Marche - è davvero incomprensibile che si continui ancora a discutere di rigidità del mercato del lavoro e si continui a propugnare la ricetta della flessibilità estrema, quando la pratica ha ormai dimostrato che modificare le regole del lavoro non serve a generare nuova occupazione”.